Quasi due terzi degli emiliano-romagnoli abitano, vivono, lavorano, mangiano e dormono nell'area segnata dai 262 chilometri della via Emilia. “Tanto servì e tanto seppe questa strada, che la gente chiamò infine la regione dalla strada, non la strada dalla regione” ha scritto il bolognese Riccardo Bacchelli. La via Emilia è l’Emilia. Una regione unica - “il nord del sud e il sud del nord”- che da sempre ha fatto da collante all'Italia intera. Grazie a una raccolta di crowdfunding, grazie all'aiuto di due “esperti” incaricati di far tappa nei bar lungo la strada per stabilire quale siano #imiglioribardellaviaemilia, abbiamo ripercorso l'antica strada consolare romana da Piacenza a Rimini. Un viaggio picaresco per scoprire cosa ne è oggi, dopo 2200 anni, di una delle strade definite di recente da un quotidiano inglese (a dire il vero, più esperto di tette che di viabilità) “una delle venti più interessanti al mondo”. Un reportage che ben presto si è trasformato in un tour sentimentale, in qualche modo iniziato oltre trent'anni fa, di traverso all'Emilia - in definitiva una gran signora - e la sua via.
Dopo oltre duemila anni in cui è stata un’arteria pulsante di storie, persone, vite e leggende, oggi la via Emilia non è altro che un “non luogo” attraversato quotidianamente da anonimi automobilisti interessati esclusivamente a percorrere nel più breve tempo possibile la tratta da un paese all’altro? Sì e no. Il reportage fotografico di Antonio Tomeo. VAI ALLA GALLERY
Un ricordo personale a mo' di aperitivo: la mia prima Emilia, la Ducati (che si fa a Bologna) e i possibili usi alternativi di un quotidianoIl mio primo contatto importante con la via Emilia risale a 35 anni fa. Giugno 1980: neanche il tempo che la scuola chiudesse i battenti e già eravamo pronti alla partenza su due vecchie Ducati passate di mano un'infinità di volte. Destinazione Cesena. “Dove – ci aveva assicurato un amico che la sapeva lunga - da giugno a settembre assumono tanta di quella gente per raccogliere mele che non farete neanche in tempo ad arrivare in Emilia (a parte Rimini, per chi non abita da queste parti, tutta la Romagna è Emilia) che vi trovate già con una cassetta in mano a tirar giù frutta”. Entusiasmo alle stelle per un viaggio già leggendario prima ancora di compierlo e, insieme, la possibilità di guadagnar quattro palanche. Una micro orda barbarica di quattro ragazzotti dalla profonda provincia veneta in sella a due Ducati Scrambler. Insieme alla Harley la moto sessantottina per eccellenza, bellissima e fragile. Infatti poco dopo Bologna, alla Scrambler di Curio, sulla quale viaggiavo come passeggero, parte la biella. Giusto il tempo di uscire dall’autostrada e infilarsi sulla via Emilia dove, miracolo! sul ciglio della carreggiata troviamo una corda di tapparella. Ci attacchiamo a rimorchio degli altri due, Panetta ed Enzo, per arrivare fino a Cesena. Con quel pazzo di Panetta che in certi tratti tira anche fino a 90. Magari in sorpasso. E neanche il casco a proteggerci in caso di incidente. Ce l’avevamo a dire il vero ma, non essendo obbligatorio, non poteva assolutamente reggere il confronto con la bandana tipo gli easy rider Peter Fonda e Dennis Hopper. Così, ancora non so quale santo devo ringraziare se oggi sono qui a raccontarla, la via Emilia.
Le Ducati Scrambler sono state prodotte dalla casa di Borgo Panigale (Bologna) dal 1962 al 1976. |
La SS9? Un'entità astratta che nessuno conosce davvero, neanche gli emiliani
Non si può dire che il trasloco dal "Veneto barbaro di muschi e nebbie” a una delle perle attraversate dalla via Emilia, Modena, abbia arricchito la mia conoscenza dell’antica strada romana tracciata ormai duemiladuecento anni fa dal console Emilio Lepido. Sono già sette anni che vivo da queste parti, ma la via Emilia, la Strada Statale 9, quella lunga striscia d’asfalto lunga 262 chilometri da Rimini a Piacenza, nel suo insieme resta un’entità astratta. C’è, ma né io né altri la percorriamo mai nella sua interezza. Nemmeno chi è nato e vive qui da sempre la conosce davvero, se non per brevi tratti locali. Per spostarsi lungo l’asse emiliano-romagnolo, dal 1964 c’è l’Autostrada del Sole fino a Bologna, dal 1969 l’Adriatica dal capoluogo fino ad Ancona. Anche se la distanza è di soli 48 chilometri da un centro all’altro, pochissimi modenesi per raggiungere Bologna si avventurerebbero lungo la via Emilia. Intasata di traffico locale senza neanche un briciolo della fighetteria di una superstrada di serie A, è impercorribile nelle ore di punta e parecchio incasinata nelle rimanenti, almeno fino a notte fonda. Da Modena, più comoda da raggiungere invece Reggio, ma solo grazie alla relativa vicinanza: 33 chilometri. Ecco, 20 o 30 chilometri possiamo considerarli la distanza massima per cui abbia ancora senso scegliere la via Emilia per muoversi. Per chilometraggi superiori, c'è il casello più vicino.
Se la via Emilia è una vecchia signora decadente e un po' bolsa, è tutta colpa degli Agnelli e della loro Fiat 600
Dopo due millenni di onorato servizio, l'autostrada ha di fatto declassato a un aggregato di segmenti locali, ad arteria di serie B, quella lunga linea retta che sarebbe la via Emilia. A posteriori, c'è da dire però che il suo destino era già segnato quando nel 1955 Fiat lanciò sul mercato la 600, la prima vera macchina popolare, capace di raggiungere i 95 km/h e venduta al prezzo di 590.000 lire, venti mensilità del salario di un operaio. Fu un successo incredibile finanziato da una montagna di cambiali degli italiani. Biciclette, vespe e lambrette cominciarono a essere sostituite dal nuovo mezzo, decisamente più impattante sugli spazi e sul traffico rispetto alle due ruote. Una preoccupazione del tutto prematura, all'epoca.
Pur di potersi appropriare di quel simbolo di un benessere finalmente a portata di mano - racconta Enrico Menduni nel suo libro “L’autostrada del Sole” - “la gente faceva docilmente la fila davanti ai saloni dei concessionari, grandi come ministeri, si sottoponeva a lunghissimi tempi di prenotazione; si cercavano raccomandazioni autorevoli per guadagnare posti nella lista d'attesa, si pregustavano scampagnate e gite al mare con la famiglia o, magari, in più lieta compagnia. L'Italia, insomma, era pronta per le autostrade”. E ciao ciao a Emilia e alle sue sorelle consolari.
Breve storia del socialismo a trazione agricola e della sua inevitabile sconfitta
Tanto che si può datare l'inizio della sua fine al 19 maggio 1956, con la posa della prima pietra della futura Autosole. A dire il vero qualcuno tentò inconsapevolmente, al tempo, di “salvarla”, opponendosi all'onda montante di asfalto e lamiere. A storcere il naso nei confronti del nuovo sogno così “americano” degli italiani ci provò inizialmente il Partito comunista che, comprensibilmente, diffidava del consumismo ritenendolo uno spreco di risorse e una distrazione dall’impegno sociale. Alla motorizzazione individuale il PCI preferiva la superiorità sociale del trattore, elemento «che unificava città e campagna, operai e contadini», come in Unione Sovietica.
La maggior parte degli edifici della sede produttiva e amministrativa storica delle Reggiane, è attualmente in stato di abbandono. Fonte immagine: Archeologiaindustriale.net |
Un trattore parcheggiato sulla via Emilia |
Stiamo parlando naturalmente della via Emilia extra-urbana. Perché per la via Emilia vanno considerate almeno tre tipologie viarie tra loro profondamente differenti: quella fighetta dei centro città che attraversa tutti i capoluoghi di provincia, ad eccezione di Ferrara e Ravenna; la via Emilia D.E.P. - a “Degrado Estetico Progressivo” - quella della periferia urbana man man che ci si allontana dal centro; infine la via Emilia dura e pura, quella che una volta era campagna nuda dove – spiegava Francesco Guccini in apertura di un brano dedicato a Modena in un suo famoso album live del 1984 - “c’era veramente il west, il west sognato visto in diecimila film. E anche un west reale, il west dei nostri campi, dove noi andavamo a giocare agli indiani e ai cowboy e poi dopo un pochino più grandi andavamo con le nostre amichette a giocare”. Quest'ultima, la tipologia di via Emilia un tempo campagnola, verace e popolare, è quella che non si fila mai nessun viaggiatore, irrimediabilmente catturato dalle luci sfavillanti dei centri storici delle città allineate lungo la strada romana. Da sempre. Come racconta lo scrittore François Maximilien Misson nel suo “Nouveau Voyage d'Italie” pubblicato per la prima volta nel 1702: “Lungo la strada [da Bologna verso Modena] si vedono campi coltivati e viti sostenute da alberi disposti a scacchiera. (...) La vista è sempre limitata dalle fronde degli alberi e questo rischia di diventare noioso per i viaggiatori”. Sostituite viti e alberi col paesaggio contemporaneo descritto in precedenza, e il gioco è fatto: tra una città e l'altra il viaggio, oggi come allora, potrebbe sembrare – a un occhio poco attento - un po' una palla. A movimentarne la monotonia, poteva almeno consolarsi all'epoca Misson, “milioni di mosche luminescenti che riempiono [all'imbrunire] le siepi e i campi. Gli alberi e i campi ne sono ricoperti e tutta l'aria brilla per la loro luce. Questi piccoli insetti sono chiamati lucciole”. Magari non a milioni, ma verso sera lungo la via Emilia di “lucciole” se ne incrociano ancora parecchie, all'ingresso di Bologna pure in pieno giorno, anche se non sono esattamente le stesse tanto apprezzate da Misson e da altri viaggiatori.
Appartamenti in vendita lungo la via Emilia |
Ma non lasciatevi ingannare dall'apparente uniformità del paesaggio della via Emilia, percorrere anche oggi tutti quei chilometri da Piacenza a Rimini è un’impresa che vale ancora la pena. E non solo perché oltre il 60% degli abitanti della regione risiedono in città e paesi attraversati da questa lunga striscia d'asfalto (il dato è della metà degli anni ‘80, probabilmente la percentuale è aumentata). “Tanto servì e tanto seppe questa strada, che la gente chiamò infine la regione dalla strada, non la strada dalla regione” ha scritto il bolognese Riccardo Bacchelli: la via Emilia è l’Emilia. La sua sintesi, o un concentrato, se vogliamo. Per secoli l’aorta di un’intera regione. L'unica al mondo ad aver preso il proprio nome da una strada. L'unica che porta un nome di donna, e anche piuttosto diffuso: sono 121.417 le italiane a chiamarsi così, senza considerare la variante “Emiliana”. Curiosità: la regione dove il nome è più comune è la Lombardia (22,8% del totale) seguita dalla Campania. Le Emilie d'Emilia sono invece 5,1% del totale, solo al sesto posto nella classifica. Si capisce: chiamarsi così qui può risultare un tantinello ridondante.
Un vecchio casale lungo la SS9 |
Una delle strade più interessanti del mondo? Sì, secondo il quotidiano inglese a cui piacciono le tette
A questo punto però, è bene ribadirlo una volta per tutte: la via Emilia è caratterizzata solo in piccola misura dai centri storici delle tante città che attraversa. Come ha scritto la poetessa Giulia Niccolai a proposito della SS 9, “non è tanto la meta che qualifica il viaggiare, quanto il cammino stesso o comunque, hanno entrambi lo stesso valore. (…) Il viaggio è diventato tortura e penitenza, buco nero, vuoto che si cerca di attraversare il più in fretta possibile”. Succede tutti i giorni lungo la via Emilia: se proprio si è obbligati a percorrerla, l'obiettivo è arrivare alla meta lasciandosi alle spalle il più presto possibile il suo concentrato di brutture di cemento e gas di scarico. Quasi quasi, meglio far finta che non esista.
Una tipica pagina 3 del Sun. Non esattamente il New York Times |
Noi che in Emilia siamo stranieri per davvero come l'impiegato comunale Watanabe di Akira Kurosawa
Noi che siamo diversi dagli autoctoni, per cultura e formazione. Cosa significhi essere “stranieri” qui l'ho capito un giorno chiacchierando con una collega, modenese d.o.c. Per me che sono lombardo-veneto per nascita, cultura e formazione appunto, lo Stato e le sue istituzioni, giù giù fino a quelle locali, non sono altro che un Moloch distante e del tutto indifferente alla mia sorte come individuo. Un'entità kafkiana che chiede tantissimo offrendo poco o niente in cambio, una tragica e quotidiana determinazione reale della finzione cinematografica di un film come “Vivere” di Akira Kurosawa. Eccone la trama in breve: scoperto di avere un tumore, l'impiegato comunale Watanabe, decide di rendersi utile alla collettività dedicando gli ultimi mesi di vita a un'iniziativa seria. Superando mille ostacoli burocratici, passando di ufficio in ufficio, si dà da fare per risistemare un parco giochi per bambini abbandonato nel disinteresse di tutti. Sarà questa la sua eredità. Watanabe muore prima del giorno dell'inaugurazione in cui i colleghi ubriachi giurano di vedere in lui esempio da lui. Le madri dei bambini pensano al loro benefattore. Il sindaco, abilmente, si prende tutto il merito dell'iniziativa e del suo successo. Poco cambia: il giorno dopo è tutto dimenticato. Un altro impiegato ha preso il suo posto in ufficio e di Watanabe non si parlerà mai più. Detto altrimenti: lo Stato, se non mi è nemico, certamente non mi è amico. Diffidenza e sfiducia sono la cifra del nostro rapporto. Reciprocamente.
Watanabe |
Il passato: quando l'isola rossa in un mare bianco ebbe l'occasione storica di dimostrare che il socialismo si può fare pacificamente
C'è una ragione storica in questa specificità tutta emiliana che a lungo ha prodotto risultati universalmente riconosciuti come eccellenti. La spiega bene Edmondo Berselli: “L'idea di un compromesso a suo modo storico tra l'egemonia comunista e la realtà delle classi borghesi nasceva dalla consapevolezza che l'Emilia era un'isola rossa in un mare bianco, la rivoluzione non era alle porte, che c'erano le condizioni per creare benessere e distribuirlo: «Compagni» disse Togliatti ai funzionari comunisti «qui da voi c'è l'occasione storica di dimostrare che il socialismo si può fare pacificamente, con un largo fronte democratico, in cui le ragioni del lavoro e quelle del capitale possono collaborare per far vedere al fronte reazionario che i comunisti sono capaci di far star bene il popolo.».”
Palmiro Togliatti con Nilde Iotti |
Il presente: di eccezionale in Emilia resta poco. Sic transit gloria mundi
Per quanto mi riguarda, posso dire che i sette anni trascorsi in queste lande non hanno modificato i miei giudizi, o pregiudizi, che dir si voglia. Lo Stato (anche nelle sue istituzioni locali) resta una controparte, perfino quando assume la faccia paciosa e bonaria, tanto da risultare quasi un'incarnazione di uno stereotipo, di quello che fino all'anno scorso è stato il sindaco di Modena, Giorgio Pighi. Non dubito che in passato il modello emiliano abbia prodotto grandi risultati, e che la sua fama fosse meritata. Non so. Non c'ero. Mi fido.
L'ex sindaco di Modena, Giorgio Pighi. Fonte immagine: Wiki Commons |
Il tramonto della leggendaria Emilia rossa e il ritorno collettivo a certezze prepolitiche
Proprio perché “stranieri”, per evitare in quanto tali di essere accusati di non conoscere a fondo queste terre e le loro genti, ci siamo fatti accompagnare nel nostro tour alla scoperta della via Emilia da due insider - o fixer come si dice in gergo giornalistico - due emiliani d.o.c, Ilmo Malagoli e Marco Balugani. Tappe del viaggio: i bar lungo la Statale. Uno ogni 10/15 chilometri circa. Scelta non casuale né dettata dalla faciloneria. Piuttosto, il tentativo di avventurarsi in quei luoghi dove le persone ancora si incrociano, giocano a carte, discutono, commentano le notizie dei giornali, chiacchierano, ricordano, litigano, bevono e mangiano. Attività quest'ultima che da questi parti ha valenza liturgica, tanto l'han menata e la menano sul cibo, dal maiale al parmigiano, dal cappelletto e poi giù giù, fino alla piadina romagnola. Fino a sconfinare, a sprezzo del ridicolo, nella santificazione dello Chef Maximo del momento, Bottura da Modena. Rispetto al quale ogni volta mi domando: ma chi mai ci andrà a mangiare nella sua chiesa con i prezzi cardinalizi che c'ha, nonostante l'umiltà del nome, Osteria Francescana? Da tempo assurto all'Olimpo il divino Pavarotti, la scranna di celebrità locale la occupa oggi il papa della cucina molecolare. Una star globale per palati fini, al quale però bisogna riconoscere una notevole comprensione del genius loci e dello spirito del tempo, tanto da prestarsi a una “splendida lezione sulla cucina e sullo stile di vita italiano” in una location nazional popolare come il Grandemilia, mastodontico centro commerciale for the masses giusto sulla via Emilia, tra Modena e Rubiera, dove appena qualche settimana fa il nostro si è esibito in un “live cooking” cucinando un memorabile: “Ricordo di un panino alla mortadella”.
Folla al centro commerciale Grandemilia per lo chef Massimo Bottura. Fonte immagine: Grandemilia |
Gli “Emilia bar lovers” a caccia del miglior cappuccino e spritz offerti dalla via Emilia
A questo punto però, prima di addentrarci nei dettagli di questo tour sentimentale e picaresco tre decenni dopo la mia prima comparsata in terra emiliana, occorre fare una digressione sui nostri fixer, Marco e Ilmo, autoproclamatisi per l'occasione “Emilia bar lovers”. Tappa dopo tappa, bar dopo bar, assaggiando ogni volta un cappuccino e un spritz per stabilire quale sia “il miglior bar della via Emilia”, incaricati di agganciare nella nostra rete baristi e avventori. Per cercare di capire attraverso questi, che tutti i giorni sulla Statale ci bazzicano, ci lavorano, ci vivono e – immagino – ci tirino giù santi e madonne, che cos'è oggi questa via lunga e diritta. Nemmeno Ilmo e Marco come compagni di viaggio sono stati una scelta casuale. Rappresentano, la specifica è di Ilmo, “quell'altra” Emilia. Quella che con le cartoline del Sun e le brochure pro Expo non c'entra un fico secco ma che da queste parti ha storia e dignità, volendo per forza trovargli delle radici, almeno dagli indiani metropolitani bolognesi del '77, se non da prima: Modena si fa vanto un po' a sproposito di esser stata negli anni '60 la capitale del beat italiano; la Romagna è storica terra d'anarchici, e via così.
Da sinistra a destra, Ilmo e Marco, gli Emilia Bar Lovers |
Emilia paranoiaca, dove "il nemico vero è là, è là che se la spassa e inventa un'altra tassa"
Se Ilmo è l'esteta, Marco invece tra i due è quello dall'anima più politica. Insomma, a suo modo. Secondo Ilmo è un fiero rappresentante de “L'Emilia paranoica”, quella sospettosa, intimamente partigiana e istituzionalmente “contro”, anch'essa forte di una tradizione notevole. Ma soprattutto, di una base musicale di tutto rispetto. Quella dagli indimenticabili “CCCP” di Giovanni Lindo Ferretti
Emilia di notti, dissolversi stupide sparire una ad una, Impotenti in un posto nuovo dell'ARCI. Emilia di notti agitate per riempire la vita, Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire. Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità, Emilia di notti d'attesa di non so più quale amor mio che non muore, E non sei tu, e non sei tu,e non sei tu. Emilia paranoica. Emilia paranoica. Emilia paranoica!
Marco sul camper affittato per il reportage sulla via Emilia |
Ogni domenica è un rituale darsi pugni e farsi male siamo gente un po' così. Otto ore sono pese in officina con le frese per pagare la cucina... Domattina vado in banca per pagar le rate della casa e il mutuo della Golf... Ma mi prende troppo male mi incazzo e poi mi dico, almeno c'ho un nemico qualcuno da pestar. Noi abbiamo queste sciarpe blu, arrivan quelli con le gialle son nasi rotti e calci... nelle palle. Ci diamo i pugni sulla testa ogni domenica è una festa ma poi torna il lunedi e la rata è sempre lì. Ma il nemico vero è là, è là che se la spassa inventa un'altra tassa.
I due “Emilia bar lovers” ci son sembrati subito i giusti compagni d'avventura. Come noi, “frammenti di marginalità umana irriducibili al sentimento collettivo e socialista” (e alla sua borghesissima variante contemporanea). Del resto, come scriveva Giovannino Guareschi da Fontanelle di Roccabianca, nel parmigiano, “quando il sole martella le zucche e il grande fiume scorre grigio e lento, i cervelli ci mettono poco a bollire”. Pur senza giungere alle conclusioni dell'autore di Don Camillo sull'incidenza del meteo sulla salute mentale degli emiliani, del clima di queste parti – afoso d'estate e umido d'inverno - si lamentano un po' tutti, da sempre. “Sono alfin giunto a Bologna dopo un diabolico viaggio fra nubi di polveri e sotto la sferza di un sole cocente” appunta Lord Byron nel 1819 nelle sue “Lettere dall'Italia”. Sempre parlando di Bologna, “una delle più belle e grandi città d'Italia” scriveva invece il prete e scrittore del XVII secolo Richard Lassels: “Sarebbe una città adatta per trascorrervi l'estate, se l'aria non fosse così insalubre”. In sintesi, come recita il ritornello di “Rol”, hit in dialetto di un gruppo rock della Bassa reggiana, le “Cagne pelose”:
E se d'isté tan tir mi l'fie e d'inveren at sela gli ungi di pé, atse a Rol, Rol, Rol, Rol! Rol cl'e che in dla basa. (e se d'estate non tiri neanche il fiato, e d'inverno ti si gelano le unghie dei piedi, sei a Rolo, Rolo che è qua nella Bassa).
E buon viaggio in Emilia. Senza nostalgia, con occhio cinico e presente, ma con lo stesso “piacere di un tempo, quando al bar di sera si guardava il giornale per vedere che film davano in provincia, e poi si partiva in tre o quattro, in macchina, in mezzo alla nebbia”. A noi piace così.
Marco in posa sulla via Emilia |
I nostri bar sulla via Emilia non sono stati quelli dei centro città. Quelli eleganti e quasi sempre "arricchiti da un tocco unico e personale". Quelli per una clientela dello stesso livello, da centro, che schifa roba tipo la brioche scongelata per colazione anche senza scivolare sulla classica Luisona di Stefano Benni, la "decana delle paste" da bar sport. Quei locali che in alternativa a caffè e cappuccino propongono “centrifugati all'ananas, mela, carota e limone” e “dissetanti vitaminici”. Quelli che per mantenere tirato a lucido l'intelletto dei propri clienti mettono a disposizione mica solo la Libertà a Piacenza, la Gazzetta di Parma a Parma, quella di Reggio a Reggio e via dicendo - insomma, i giornali locali - ma La Repubblica, il Corriere e perfino La Lettura, domenicale di libri e cultura del quotidiano milanese. “Perché vi trovate qui e non al bar di fronte?” abbiamo chiesto a Castelfranco Emilia a un crocchio di anziani seduti in un locale decisamente più scrauso giusto di fronte a un raffinato bar “da centro”? “Noi ci troviamo qui ogni mattina – han risposto – perché questo è un bar adatto alle battute, quell'altro è per fighetti”. E giù risate.
E nemmeno gli “Emilia bar lovers” han potuto marchiare coi loro adesivi “bar consigliato” i locali della cintura periferica delle città. Anche se spesso i nomi sono accattivanti perfino per accalappiare eventuali turisti - “Bar Emilia”, “Bar Romagna” fino a un classicissimo "Bar Sport" - a gestirli son quasi tutti cinesi. Che, vuole la leggenda, a suon di contanti hanno rilevato i bar di periferia dagli antichi gestori, lasciando tutto intatto, perfino la clientela che dopo l'iniziale sconcerto per il cambio di gestione è ritornata a occupare i tavolini di sempre. Ma gli eredi del Celeste Impero non si fanno intervistare. Usando sempre la stessa motivazione: “non parlo bene italiano”. Una scusa probabilmente. O forse, una vendetta consumata a freddo per la storica scarsa prossimità coi compagni emiliani, che han sempre guardato più all'Unione Sovietica che alla Cina di Mao.
Via Emilia periferica |
No, i bar nei quali abbiamo tappa sono quelli della terza via Emilia. Quella più di strada, più popolare, più d'occasione, da outlet di cappuccini e spritz. Posti per lo più senza storia perché, a parte i locali eredi di qualche antico posto di cambio dei cavalli, l'anno zero per questi tratti della Statale 9 coincide con i '60 o giù di lì, quando sulla sterminata campagna emiliana han cominciato a piovere milioni di metri cubi di cemento. Tanto che più d'un bar precisa nell'insegna la propria data di nascita: Bar Santi, dal 1976. Così come accade per ogni regola, va da sé che anche questa via Emilia presenti le proprie eccezioni. Come il bar “da Romano”, dal 1936 “passione per la gente”, locale che coniuga, ci spiega il titolare, “tradizione e modernità”. Per colazione, propone la formula americana del "all you can eat": si può mangiare tutto quel che viene messo a disposizione pagando un prezzo fisso, 5 euro, in teoria fino allo svenimento. Il posto è curato e cool, il titolare pure. Insomma, roba da centro. E infatti, è in centro anche se tra il cartello d'inizio e di fine del territorio comunale sono meno di due chilometri. Siamo a Cadeo, seimila abitanti frazioni comprese, in provincia di Piacenza. Un paese aggrappato alla sua main street come una di quelle cittadine di provincia americane che si vedono nei film. Un posto come “da Romano” non sfigurerebbe affatto anche in un centro storico di qualsiasi città capoluogo. A restituire alla location la sua dimensione pop, tra la via Emilia e il west, si incarica a pochi metri dal dehors laterale del locale una statua di Padre Pio a grandezza naturale.
Foto di Antonio Tomeo |
Totò Riina presidente del consiglio. Candidature alternative: oltre al sempiterno Mussolini, anche Hitler, Pol Pot, Stalin e Mao Tse Tung
Di Emilia rossa, sulla SS 9, se ne incrocia poca. Anzi, dovessimo basarci solo sulla nostra esperienza, fossimo marziani piombati direttamente da un'altra galassia, dovremmo pensare che l'Emilia ha un cuore nero. Non che noi la si sia buttata in politica. Ma le poche volte che è venuta fuori, su iniziativa personale di qualche cliente o barista, ha sempre assunto toni che non ti aspetteresti da queste parti. Storia a sé fa naturalmente il tratto tra Forlì e Forlimpopoli, pochi chilometri a nord di Predappio, in Romagna. Da quelle parti abbondano in più d'un bar memorabilia di Mussolini, dalle targhe di metallo vintage con frasi celebri del genere “Vincere e vinceremo” fino a un busto di Rosa Maltoni, mamma di Benito e, per ferma volontà del duce stesso, rappresentazione nel corso del Ventennio della donna italiana ideale.
Mostra sul giovane Mussolini a Predappio. Fonte: Notizie Comuni-italiani.it |
Notte sulla via Emilia 1. Quando Slot machine e puttane, ormai parte integrante del paesaggio, lavorano a pieno regime
La via Emilia di notte sta a quella di giorno come lo yin (nero) sta allo yang (bianco). E' abitata da popoli diversi. Se di giorno non è impossibile vedere una mamma con carrozzina uscire dal cancello di casa con comodo accesso direttamente sulla Statale per affrontare lo stretto pertugio tra il guard-rail e la carreggiata intasata da Tir e automobili; se dopo i fasti del sabato sera, la domenica mattina il traffico si placa fino quasi a estinguersi permettendo così ai ciclisti di cimentarsi nella pedalata in coppia (odiatissima dagli automobilisti), la notte è il momento in cui Slot machine e prostitute, ormai parte integrante del paesaggio, lavorano a pieno regime. Che, dopo una giornata a farsi il culo a produrre, un po' di svago è indispensabile. Le Slot sono presenti in molti bar, sempre rigorosamente accompagnate dal più ipocrita dei cartelli, appeso a norma di legge: “Se il gioco diventa un problema puoi chiedere aiuto”.
Fonte immagine: CougarLicious via photopin (license) |
Notte sulla via Emilia 2. Immancabilmente, “fra cosce e zanzare e nebbia e locali a cui dai del tu”
Invece, la nostra notte in tour lungo la Statale è stata solo divertente. Tra bar “open 24 h” in cui si praticano improbabili karaoke e sfrenate danze con qualche anziano umarell a far da spettatore dopo una giornata – immaginiamo - spesa a controllare l'andamento dei lavori in corso di qua e di là dalla via Emilia. Con giovani leoni a tentar, forse, di farsi belli esibendosi con voce stentorea sulle note di “Certe notti” del Liga, tanto per fare “un po' di cagnara” in “quelle notti fra cosce e zanzare e nebbia e locali a cui dai del tu”. A ballare in mezzo ai tavolini però, c'è giusto un'attempata ragazza che gli “Emilia bar lovers”, con il piglio sicuro dei conoscitori della materia, battezzano subito come 'cougar', termine gergale per etichettare “donne mature che si comportano come predatrici sessuali nei confronti di uomini notevolmente più giovani”. E chissà se la serata è finita in gloria per tutti. Ce lo auguriamo. Per loro.
Gli Emilia Bar Lovers |
Un mio scatto di una giornata invernale in Emilia |
Una cosa a cui non ho rinunciato in questo tour sentimentale lungo la via Emilia, è stato ammirare almeno con lo sguardo le bellezze locali. Forte del viatico fornitomi sempre dalle Cagne Pelose da Rolo: “Stofeg, fumana, sarani schifosi ma gom dal beli doni semper generosi” Circolano diverse leggende sulle emiliane. Tra le più note, vi è quella che siano costituzionalmente di “ossa grosse”. Annotazione anatomica per giustificare, penso, una certa abbondante formosità di fianchi e seno dovuta probabilmente più alla storica passione per il porco e derivati che a una improbabile peculiarità etnica. Naturalmente la faccenda vale più per il passato. O per le contemporanee belle di periferia. Quelle del centro ormai hanno del tutto perso certi tratti caratteristici. Grazie, o colpa, di una dieta globish rigorosamente bio, vegana, attenta alle combinazioni alimentari, amante delle crudité e via rinunciando, giorno dopo giorno, ai piaceri garantiti da salami e prosciutti. La fama di libertine invece, anche questa storica, resta inalterata.
Almeno a dar ascolto a Manuela, la mia amica del sexy bar e dell'annesso negozio di biancheria intima, intimissima diciamo pure, in centro a Modena, a un tiro di schioppo dalla sagrato del Duomo e dalla via Emilia, che mi assicura essere rimasto costante nel tempo l'interesse delle signore della Modena-bene per i suoi prodotti. A più d'una delle quali, giura, “ho salvato il matrimonio” grazie ai giusti ritocchi all'abbigliamento intimo. “Ci sono in Italia città – scriveva nel 1756 un certificatore indiscutibile come Giacomo Casanova – dove ci si può procurare tutti i piaceri che l'uomo sensuale trova a Bologna, ma in nessuna parte li si ottiene così a buon mercato, né così facilmente né così liberamente”. Sempre della Bologna papale, annotava Stendhal nel 1817, “i preti tollerano la libertà dei costumi, altrimenti le frecciate impedirebbero a loro stessi di goderne”. Una libertà che andava oltre i confini bolognesi fino a disegnare un caratteristico tratto emiliano, almeno a dar ascolto allo storico francese e monaco benedettino del XVIII secolo, Casimir Freschot che, a proposito di Reggio, scriveva: “Non so se sia per il clima, ma l'amore conta tanto nella città di Reggio che essa si potrebbe definire un'Isola di Venere (...). Le donne hanno sguardo vivace e così pronte ad afferrare tutte le occasioni per conquistare i cuori, che nessuno può loro sfuggire”.
VIDEO di Martino Pinna / I migliori bar della Via Emilia
Ecco che mi parte la penna in una ingiustificabile invettiva contro le donne. Ma solo quelle del centro, quelle più belle, che no, non sono le fate
Per quanto mi riguarda, an ghe gninta da fer, non c'è niente da fare, le emiliane mi piacciono così: con le ossa grossa e con quel guizzo libertino negli occhi. Caratteristiche che ormai conservano con rigore filologico solo le eredi di certi tradizioni popolari, quelle fedeli alla linea del lardo e al socialismo da balera. A dire il vero, è anche che le fighette centrine, bellissime e fatte con lo stampino, uguali a Modena come a Londra o Berlino, non soddisfano minimamente il mio gusto estetico, sempre più convinto della verità del motto proustiano che invita a lasciare “le belle donne agli uomini senza immaginazione”. Nel corso del nostro tour mi sono platonicamente innamorato almeno in un paio di occasioni. La prima volta di una cameriera di un bar incrociato nel parmigiano, attratto dal suo sguardo trasparente e dalle sue giovani mani già segnate dal lavoro. E ho tanto insistito per convincerla a farsi fotografare dal nostro fotoreporter Antonio Tomeo da riuscire infine a vincere la sua ritrosia. Posto qui qui la sua foto con tutta la delicatezza e il rispetto che le parole mi permettono di esprimere.
Foto di Antonio Tomeo |
Il bar Bacone, nei pressi di Reggio, prende il nome dal grande filosofo inglese. Senza negare la propria profonda emilianità: "Gnocco fritto take away tipico". Foto di Antonio Tomeo |
Il nostro viaggio a ritroso giunge al termine sul ponte di Tiberio, a Rimini, in Romagna. Che, mi accorgo, aver ampiamente sacrificato nel mio racconto. E' sempre così quando si parte dall'Emilia. Non me ne vogliano gli amici romagnoli, ma per un emiliano – anche se d'adozione o d'accatto come nel mio caso – la Romagna è un po' figlia di un dio minore. Al fine di evitare una crisi interregionale, premetto che dissento totalmente da ciò che state per leggere, ma devo confessare che una delle prime cose che mi hanno insegnato quando sono venuto a vivere qui è stato il coro che gli ultrà del Modena calcio cantano a quelli del Cesena in trasferta da queste parti. Un feroce sfottò che storpia così il finale del ritornello di 'Romagna mia' di Raul Casadei: “Quando ti penso, vorrei cagare, in quella merda che chiami mare”. Non mi pronuncio a riguardo, in Riviera non ho mai fatto il bagno perché a Rimini ci sono stato qualche volta solo d'inverno. Trovandola per altro bellissima nella sua malinconia da doposbronza. Col suo lungomare di bagni deserti e alberghi privi di segnali di vita. Quasi uno scenario post-atomico. Tanto che viene da chiedersi per quale miracolo possa subitaneamente rianimarsi da giugno a settembre fino a raggiungere densità umane tali da sfidare Hong Kong.
Ruota panoramica di Rimini |
Per la realizzazione di questo reportage (del video e delle foto), si ringraziano per il sostegno morale e il contributo economico: Alberto Franchini, Daniele Bertulu, Sandro Campani, Moira Caracciolo, Francesco So, Enrico Ruggeri, Gaia Borghi, Alice Lombardi, Paolo Battaglia, Elena Savani, Claudio Simeone, Alessandro Violi.
Nessun commento:
Posta un commento