Gli ultimi giorni di permanenza erano stati una vera catastrofe finanziaria: nessuno dei quattro aveva più in tasca un penny. Il lungo tragitto in treno da Inverness, ultima tappa nella patria di Wallace, fino a Londra dove avremmo trovato riparo ospiti di un prete amico di uno di noi, fu un'agonia. Nel senso che non mangiare niente, ma proprio niente, per un giorno intero, è un'esperienza abbastanza tormentosa.
Arrivati verso le 23 a casa del prete, divorammo il divorabile.
Il giorno dopo l'amico prete, forse preoccupato di un possibile ulteriore passaggio degli unni a far terra bruciata della sua cucina, ci porta fuori a mangiare. Un ristorante, di cui ho un ricordo bellissimo, gestito da una signora irlandese e le sue tre figlie, tutte molto graziose (ma si sa, certi ricordi possono essere tranquillamente frutto della personale mitopoiesi).
Ancora non ho dimenticato il pasto luculliano - l'amaro sapore della fame recente non era ancora svanito - in un clima paradisiaco, con quelle fate irlandesi a volteggiare incessantemente intorno al nostro tavolo.
Per noi e noi solamente, visto che il ristorante era chiuso per turno e aperto solo per far piacere al prete, che era poi quello della loro parrocchia.
Costo di vitto e servizio? Zero.
Gratis et amore dei.
Un piccolo episodio personale che però credo faccia capire il rapporto profondissimo degli irlandesi con il cattolicesimo (e con i preti) per secoli e secoli.
Ecco perché questa notizia - L'Irlanda chiude l'ambasciata presso la Santa Sede. La scelta di Dublino gela i rapporti con il Vaticano dopo mesi difficili - mi ha parecchio colpito.
Davvero un brutto segnale per Santa Madre Chiesa.
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