mercoledì 12 novembre 2014

Meno rassegnazione per tutti


Qualche giorno fa parlavo con un'amica insegnante di scuola elementare che lamentava le crescenti difficoltà nello svolgimento del proprio lavoro. Non le solite lamentazioni sulla retribuzione, il nuovo blocco agli scatti contrattuali (con la nuova legge di stabilità, fino al 31 dicembre 2015), gli scarsi o nulli investimenti sulla scuola o le classi sempre più numerose. E, naturalmente, nemmeno rispetto ai bambini, che anche nel 2014 continuano ad avere “occhi spalancati sul mondo come carte assorbenti” (è Guccini in “Culodritto”). No, “il mio principale problema – mi diceva – sono i genitori”. A suo dire, per niente rispettosi del suo ruolo, con le antenne sempre all'erta per individuare eventuali sue mancanze o “errori”, esageratamente protettivi nei confronti dei figli e incapaci di riconoscere veramente nella scuola un “polo formativo” integrativo rispetto a quello familiare.



Ma a colpirmi della sua lamentazione non è stato il lungo elenco di incomprensioni con coloro (non tutti ovviamente) che ormai sembrano essere la vera “controparte” dell'insegnante, ma la sua affermazione finale, oltremodo lapidaria: “Colpa del Movimento 5 stelle”. Va precisato che la mia amica non simpatizza e men che meno milita in alcun partito: al contrario, fa parte del quel gruppone di sfiduciati in crescita esponenziale che nemmeno votano più. In teoria, una candidata perfetta a guardare con favore alla “rivoluzione” antipolitica, o dell'Altra Politica, promossa – a loro dire – dai pentastellati. E invece, per lei, i colpevoli della deriva genitoriale (mi si passi la forzatura) sarebbero proprio loro. Un giudizio ingeneroso, a mio avviso.

La sfiducia nei confronti di chiunque rappresenti le istituzioni, lo Stato percepito come “nemico” in tutte le sue emanazioni, ha radici che risalgono a ben prima della nascita del M5S. Vero è, però, che al movimento di Beppe Grillo va riconosciuto il discutibile merito di aver eletto a sistema, istituzionalizzato, dato carne e volti a quel sentimento, portando la Cultura del Sospetto e della Sfiducia – a prescindere - a ragione esistenziale, identitaria. Fino al limite della paranoia pura in stile DDR, tanto che il sospetto di tutti verso tutti veleggia libero anche nel loro mare interno, quel luogo sacro e mistico (acque non dissimili da quelle del Sacro Fiume per il quale Bossi si era inventato la risibile liturgia dell'ampolla) in cui vengono battezzati – a colpi di 200 preferenze raccattate sul web - i Crociati della politica, gli unici legittimati a farsi interpreti viventi del Verbo, ovvero di Verità e Giustizia, naturalmente nel nome del Padre.

Ma anche qui, pane al pane, se il M5S ha raggiunto in passato (la parabola ormai è discendente) risultati spropositati in termini di consenso è perché – diciamolo – si è incuneato in un terreno in cui vincere era quasi un gioco da ragazzi. Quello di una deriva progressiva dei partiti storici e delle loro varie e variabili emanazioni temporali, iniziata addirittura prima del crollo del muro di Berlino, quando già il recinto delle ideologie cominciava a mostrar crepe da tutte le parti, sostanzialmente lasciando liberi i cavalli di scorazzare a briglia sciolta, vista la totale assenza nel nostro Paese di un'etica nazionale pubblica e laica, condivisa dalle Alpi alla Sicilia. Del resto, che in Italia nel suo complesso si viaggi a vista, e ognun per sé, non è certo storia recente.

Molto più attuale invece è la crescente insofferenza dei cittadini, innescata dalla crisi economica del 2007/2008 che di per sé, non ha fatto altro che accelerare e far esplodere un processo avviato almeno dagli anni '80: l'aumento della forbice delle diseguaglianze. La pancia vuota, per usare una metafora sempre meno tale e sempre più reale, genera inevitabilmente sentimenti come la rabbia, la frustrazione profonda, il desiderio violento di non scivolare nel limbo degli esclusi dal benessere. In assenza di adeguati interpreti politici di un simile disagio epocale, ecco spuntare allora il Movimento 5 Stelle. Con tutte le specificità e anomalie del suo tentativo di reinventare, con esiti a volte surreali a volte imbarazzanti, il senso stesso della forma partito, da intendersi, sintetizza la Treccani, come “gruppo organizzato di individui che si uniscono volontariamente per la conquista e l'esercizio del potere politico in una comunità, con il fine di realizzare aspirazioni, ideali, interessi dei propri membri, dei simpatizzanti e dei propri gruppi di riferimento”.

Ma sono passati 5 anni (il M5S è stato fondato a Genova il 4 ottobre 2009 da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio) e quale è stata la risposta, da allora, degli altri partiti alla sfida lanciata, non tanto dai pentastellati, ma dal disagio di cui loro si sono fatti interpreti? Vogliamo essere generosi nel voto? D'accordo. Allora il risultato è “totalmente insufficiente”. Senza andare tanto lontano, rimaniamo all'oggi. E alla mia regione, l'Emilia-Romagna.

Rimaniamo alla recente comunicazione di conclusione delle indagini preliminari da parte della magistratura rispetto alle presunte spese pazze da parte di una pletora di consiglieri regionali, di tutti i partiti (M5S compreso) per regali, feste di compleanni, cene di beneficenza, rimborsi per viaggi non istituzionali, fino alla barzelletta della consigliera che avrebbe acquistato coi soldi dei contribuenti un sexy toy. Degno seguito del famoso rimborso di 50 centesimi per l'uso della toilette della stazione di Bologna da parte di un consigliere PD, l'anno scorso. Per non parlare della recente condanna a due anni per truffa aggravata ai danni della Regione comminata a un consigliere del PDL. Tutto questo a dieci giorni dalle elezioni regionali. Non un gran viatico per quella “festa della democrazia” - ormai più che altro un incubo per partiti e cittadini – che dovrebbe essere una tornata elettorale come quella del 23 novembre prossimo, anticipata, non dimentichiamolo, per le dimissioni di Vasco Errani in seguito a una condanna in appello.

Naturalmente noi siamo garantisti, e le conclusioni di un'indagine non sono un rinvio a giudizio e men che meno una condanna. Ma dovremmo avere i salami sugli occhi e sulle orecchie per nasconderci la fragilità assoluta, se non l'assenza, di quell'etica civile pubblica e laica, condivisa, di cui si accennava prima. Quanti esempi servono ancora per confermarne la debolezza? Quanti altri casi?

A conclusione però, vorrei essere chiaro, e dare a ciascuno il suo. A mio avviso, se un futuro diverso non ce lo può offrire il Culto della paranoia targata 5 stelle, nemmeno lo può fare il frivolo ottimismo di Matteo Renzi. Ennesimo conducator brillante soprattutto nello sfornare a raffica slogan efficaci (dal punto di vista della raccolta del consenso) che non hanno niente da invidiare all'epico “Meno tasse per tutti” che ha segnato, a chiacchiere, la storia di questo Paese. L'ultimo a colpirmi è stato il suo invito ai giovani “a uscire dal tunnel della rassegnazione”.

Peccato – tanto per tornare all'incipit di questo articolo - che rispetto agli altri paesi europei, in Italia, come scrive Linkiesta, “solo l’8,2% della spesa nazionale è destinato all’educazione e alla cultura delle generazioni future. Solo la Grecia, tra tutti i Paesi europei, investe meno nella scuola. Problema tra i problemi, l’istruzione superiore: siamo l’unico Paese europeo (tra quelli i cui dati sono disponibili) che vi investe meno dell’1% sul totale della spesa nazionale. E gli effetti di queste scelte si vedono sugli anni di istruzione medi della popolazione italiana”.

D'accordo, non è colpa di Renzi se istruzione e formazione in Italia sono quello che sono. Però, se deve essere la scuola “il luogo da cui ripartire per uscire dalla crisi” (dichiarazione all'Ansa del 12 marzo 2014), non si vede come i tagli previsti nella Legge di Stabilità (che probabilmente saranno ridotti in sede di approvazione definitiva; l'inizio della discussione è calendarizzata il prossimo 24 novembre) possano farci #cambiareverso. Ai giovani e all'Italia tutta. E blaterare di "Meno rassegnazione per tutti" forse, non basta.

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