“Una bolla si verifica quando un’ondata speculativa provoca l’aumento del prezzo di un bene al di là del suo valore intrinseco”, spiega James B. Stewart sul New York Times. “Quando l’ondata passa, e gli investitori finalmente riconoscono la divergenza, la bolla di solito scoppia provocando un crollo dei prezzi”.
Non tutte le bolle vengono per nuocere. Negli anni ottanta la bolla di Microsoft, Compaq e Intel portò milioni di computer nelle case e negli uffici degli Stati Uniti. “Quando la bolla esplose, la Silicon valley era piena di microprocessori a buon mercato e teorie su come sfruttarli”, racconta Ashlee Vance su Bloomberg Businessweek. Anche la bolla tecnologica di dodici anni fa, che polverizzò seimila miliardi di dollari in borsa, comunque lasciò in eredità l’infrastruttura tecnologica di internet.
La bolla di questi mesi, invece, è diversa. Perché i social network al centro dell’ondata speculativa sono poco più che scatole vuote.
Instagram è un’azienda fondata in California 551 giorni fa, nell’ottobre del 2010. Ha tredici dipendenti e zero ricavi. Il suo unico prodotto è un’app gratuita per scattare foto da condividere online.
Facebook l’ha comprata per un miliardo di dollari. Un miliardo di dollari è più o meno il pil di paesi come il Burundi, Capo Verde o Haiti. Oppure è di poco superiore al valore del New York Times, un giornale che è stato fondato 116 anni fa e ha più di settemila dipendenti.
Editoriale di
Giovanni De Mauro su
Internazionale n. 944