domenica 28 agosto 2011
sabato 27 agosto 2011
Al mio segnale, scatenate l'inferno
A Pepe
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Mangiar bene caccia via la malinconia
Ci sono due cose che non faccio praticamente mai in questo blog: recensire libri e ristoranti (o anche film e dischi, a dire il vero).
Non è una regola: è che generalmente lo trovo noioso.
E se non interessa nemmeno a me la mia recensione di qualcosa, figuriamoci agli altri.
Però ieri sera ho finito di leggere Pulp, l'ultimo romanzo di C. Bukowski, completato poco prima di morire nel 1994. Devo dire che mi sono commosso come neanche leggendo 10 Collezione Harmony di fila.
Bukowsky - nei panni dello sfigatissimo detective privato Nick Belane alle prese con alieni, Grandi Scrittori Resuscitati e Miss Morte in versione Jessica Rabbit, in una surreale parodia dell'Hard Boiled - racconta semplicemente la propria fine che sapeva sarebbe arrivata di lì a poco. Le ultime righe di Pulp fanno davvero scendere una lacrima sul viso, e piangere per quel bastardo figlio di puttana di Chinasky è davvero troppo.
Passiamo alla questione "ristorante".
Naturalmente, visto il luogo (Viterbo), mi è subito venuta in mente la storia del vino prodotto nella vicinissima Montefiascone, l'Est! Est!! Est!!!: il coppiere che precedendo intorno al 1100 il proprio Vescovo amante del vino in viaggio verso Roma, deve segnalargli sulla porta delle varie locande quelle dove si trova il vino migliore con la scritta "est!" ("c'è!"). Giunto a Montefiascone lo scrive tre volte, tanto è buono il vino che beve (e, in effetti, lo è).
Stessa cosa devo dire dell'Osteria Salicicchia di Viterbo: est! est!! est!!!
A parte il fatto che si mangia una pizza veramente diversa e più buona di qualsiasi altra io abbia mai assaggiato, qualunque piatto ti proponga Luca - il gestore - ha sempre quel tocco di qualità e unicità capace di farti sentire un cliente "speciale" tra tutti gli altri. Vini, dolci, birra e caffè compresi.
Il tutto a un prezzo variabile da 10 a 20 euro a persona (se poi si vuol spendere di più, per carità, ma con queste cifre mangi bene e ti sazi abbondantemente).
L'Osteria Salicicchia si trova qui, in centro storico della bellissima Viterbo.
Non è una regola: è che generalmente lo trovo noioso.
E se non interessa nemmeno a me la mia recensione di qualcosa, figuriamoci agli altri.
Però ieri sera ho finito di leggere Pulp, l'ultimo romanzo di C. Bukowski, completato poco prima di morire nel 1994. Devo dire che mi sono commosso come neanche leggendo 10 Collezione Harmony di fila.
Bukowsky - nei panni dello sfigatissimo detective privato Nick Belane alle prese con alieni, Grandi Scrittori Resuscitati e Miss Morte in versione Jessica Rabbit, in una surreale parodia dell'Hard Boiled - racconta semplicemente la propria fine che sapeva sarebbe arrivata di lì a poco. Le ultime righe di Pulp fanno davvero scendere una lacrima sul viso, e piangere per quel bastardo figlio di puttana di Chinasky è davvero troppo.
Passiamo alla questione "ristorante".
Naturalmente, visto il luogo (Viterbo), mi è subito venuta in mente la storia del vino prodotto nella vicinissima Montefiascone, l'Est! Est!! Est!!!: il coppiere che precedendo intorno al 1100 il proprio Vescovo amante del vino in viaggio verso Roma, deve segnalargli sulla porta delle varie locande quelle dove si trova il vino migliore con la scritta "est!" ("c'è!"). Giunto a Montefiascone lo scrive tre volte, tanto è buono il vino che beve (e, in effetti, lo è).
Stessa cosa devo dire dell'Osteria Salicicchia di Viterbo: est! est!! est!!!
A parte il fatto che si mangia una pizza veramente diversa e più buona di qualsiasi altra io abbia mai assaggiato, qualunque piatto ti proponga Luca - il gestore - ha sempre quel tocco di qualità e unicità capace di farti sentire un cliente "speciale" tra tutti gli altri. Vini, dolci, birra e caffè compresi.
Il tutto a un prezzo variabile da 10 a 20 euro a persona (se poi si vuol spendere di più, per carità, ma con queste cifre mangi bene e ti sazi abbondantemente).
L'Osteria Salicicchia si trova qui, in centro storico della bellissima Viterbo.
Luca, titolare dell'Osteria Salicicchia di Viterbo |
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venerdì 26 agosto 2011
The only thing a gambler needs
Now the only thing a gambler needs
Is a suitcase and trunk
And the only time he's satisfied
Is when he's on a drunk
Animals - The House of the rising sun
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mercoledì 24 agosto 2011
Sulla strada
Poco fa ho visto uscire una suora dalla Casa madre e, appena in strada, farsi il segno della croce.
Come fanno i calciatori prima di entrare in campo.
Come fanno i calciatori prima di entrare in campo.
Anita
Muzicons.com
Il brano "Anita" eseguito dai compositori Antonio Stragapede e Daniele Dall'omo in occasione dell'evento "Bologna tra le corde".
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Il ragazzo con lo smoking
Una bella intervista a Paolo Conte da Repubblica del 22 agosto.
Lei ha cantato suonatori di fisarmonica,ciclisti, puttane, assicuratori, ballerini di rumba, sfortunati gestori di bar, cassiere alascane, elettricisti, uomini e gatti svaniti in una tappezzeria. Nelle sue canzoni sembra esserci molto di Simenon. Qual è la sua letteratura preferita?
«Ho letto pochissimi romanzi e nessun personaggio mi ha particolarmente colpito. Fin da adolescente prediligevo la poesia, in particolare i novecentisti italiani. E Giorgio Seferis, lirico greco, il mio preferito. E ascoltavo, come tuttora, jazz arcaico e musica classica. Un po’ di lirica. Sono un Verdiano convinto».
Così si è seduto al pianoforte e si è detto: farò musica. E suo fratello Giorgio con lei. Tutto molto semplice?
«Da ragazzo avrei voluto studiare medicina, poi, per ragioni di convenienza famigliare - nonno, padre e zio notai - ho fatto per un po’ di tempo l’avvocato. Finché la musica non ha preso il sopravvento. Ricordo una vecchia battuta di Giorgio, di quattro anni più giovane, che scherza sempre sulle nostre differenze: in casa c’era uno smoking solo, lo hai preso tu».
Nasi tristi come salite, eleganze di zebra, labbra che si guardano, la campagna che abbaia, l’intorno che è solo pioggia e Francia. Si potrebbe andare avanti a lungo. Come nasce una canzone onomatopeica?
«Nel jazz arcaico o classico il linguaggio degli strumenti si è formato sull’imitazione della voce umana e dei versi degli animali. Quando mi sono messo a scrivere testi di canzoni non ho dimenticato quella tavolozza infinita. Ma c’è un altro aspetto: le parole lontane dal linguaggio parlato e rotolante mi danno di più sul piano dell’essenza poetica e ritmica».
Lei ha cantato suonatori di fisarmonica,ciclisti, puttane, assicuratori, ballerini di rumba, sfortunati gestori di bar, cassiere alascane, elettricisti, uomini e gatti svaniti in una tappezzeria. Nelle sue canzoni sembra esserci molto di Simenon. Qual è la sua letteratura preferita?
«Ho letto pochissimi romanzi e nessun personaggio mi ha particolarmente colpito. Fin da adolescente prediligevo la poesia, in particolare i novecentisti italiani. E Giorgio Seferis, lirico greco, il mio preferito. E ascoltavo, come tuttora, jazz arcaico e musica classica. Un po’ di lirica. Sono un Verdiano convinto».
Così si è seduto al pianoforte e si è detto: farò musica. E suo fratello Giorgio con lei. Tutto molto semplice?
«Da ragazzo avrei voluto studiare medicina, poi, per ragioni di convenienza famigliare - nonno, padre e zio notai - ho fatto per un po’ di tempo l’avvocato. Finché la musica non ha preso il sopravvento. Ricordo una vecchia battuta di Giorgio, di quattro anni più giovane, che scherza sempre sulle nostre differenze: in casa c’era uno smoking solo, lo hai preso tu».
Nasi tristi come salite, eleganze di zebra, labbra che si guardano, la campagna che abbaia, l’intorno che è solo pioggia e Francia. Si potrebbe andare avanti a lungo. Come nasce una canzone onomatopeica?
«Nel jazz arcaico o classico il linguaggio degli strumenti si è formato sull’imitazione della voce umana e dei versi degli animali. Quando mi sono messo a scrivere testi di canzoni non ho dimenticato quella tavolozza infinita. Ma c’è un altro aspetto: le parole lontane dal linguaggio parlato e rotolante mi danno di più sul piano dell’essenza poetica e ritmica».
lunedì 22 agosto 2011
giovedì 18 agosto 2011
Non gli poteva fregar di meno
Di fronte al nemico comune (o ritenuto tale) i neri Usa si sentirono innanzitutto americani e si dimostrarono impermeabili alla propaganda giapponese per "la solidarietà tra le razze nera e gialla". E, sotto la spinta fraternizzante della guerra, neri americani vennero a morire dalle nostre parti per qualcosa che, diciamo la verità, non gli poteva fregar di meno: la libertà d'Europa. (Massimo Fini, Elogio della guerra, Marsilio)
E' esattamente quello che mi sono chiesto io (non solo riguardo ai neri ovviamente) visitando il cimitero del Commonwealth di Bolsena: ma chi gliel'ha fatto fare di venire qui a morire per liberare l'Italia?
E' esattamente quello che mi sono chiesto io (non solo riguardo ai neri ovviamente) visitando il cimitero del Commonwealth di Bolsena: ma chi gliel'ha fatto fare di venire qui a morire per liberare l'Italia?
La Compañera Camila
Camila Vallejo Dowling ha 23 anni, due spettacolari occhi verde-azzurro e un piercing al naso. Al momento è la nemica numero uno del presidente del Cile Sebastián Piñera, il “Berlusconi cileno”. Se la popolarità di quest’ultimo è scivolata dal 70 per cento dell’exploit del salvataggio dei minatori (nell’ottobre dell’anno scorso) all’attuale 35 per cento, lo si deve anche a Camila. O meglio, alle proteste degli studenti cileni che stanno mettendo in ginocchio il governo e di cui lei rappresenta il volto. E che volto. «Devi sicuramente avere la coda, da qualche parte, qualche difetto devi pure averlo. Non è possibile che sia così bella e così intelligente, o mia dea», ha scritto uno delle migliaia di ammiratori sotto lo streaming in youtube in cui appariva una sua intervista alla Cnn. Camila spiegava, pacatamente ma con grinta, le ragioni della protesta ed esponeva le richieste degli studenti: scuola gratuita e di qualità, al posto di quella dispendiosissima e classista che esiste in Cile dai tempi della dittatura.
Leggi il resto su Linkiesta.
Leggi il resto su Linkiesta.
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Rust never sleeps on Trenitalia
Questi vagoni di Trenitalia (fotografati stamattina alla stazione di Modena: sono quelli del Regionale Veloce delle 8:01 per Ancona) necessitano evidentemente di «verifiche sulla tenuta della smaltatura della carrozzeria». Se così si può dire.
mercoledì 17 agosto 2011
Cose di parole
Il primo round della mia lotta con l'India si svolse sul terreno linguistico. Capivo che ogni mondo aveva il proprio segreto e che la sola chiave per accedervi era la lingua. Senza di essa, il mondo che si voleva conoscere rimaneva impenetrabile anche a restarci per anni.
Inoltre mi ero reso conto di un nesso tra i nomi e le cose: una volta rientrato in albergo mi accorgevo che in città avevo notato solo ciò di cui conoscevo già il nome. Per esempio, mi ricordavo di un'acacia vista per strada, ma non dell'albero che le stava accanto, che non sapevo come si chiamasse.
Avevo capito, insomma, che quante più parole avessi conosciuto, tanto più ricco, pieno e variegato mi sarebbe apparso il mondo in cui mi trovavo.
Inoltre mi ero reso conto di un nesso tra i nomi e le cose: una volta rientrato in albergo mi accorgevo che in città avevo notato solo ciò di cui conoscevo già il nome. Per esempio, mi ricordavo di un'acacia vista per strada, ma non dell'albero che le stava accanto, che non sapevo come si chiamasse.
Avevo capito, insomma, che quante più parole avessi conosciuto, tanto più ricco, pieno e variegato mi sarebbe apparso il mondo in cui mi trovavo.
Ryszard Kapuściński - In viaggio con Erodoto (Feltrinelli)
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martedì 16 agosto 2011
lunedì 15 agosto 2011
domenica 14 agosto 2011
Ritorni e Ripartenze
Leggo Moby Dick di Herman Melville.
Il protagonista, un marinaio di nome Ismaele, naviga sull'oceano. Insieme alla ciurma della nave dà la caccia a una pericolosa e inafferrabile balena che alla fine emergerà dal fondo e assesterà alla nave il colpo mortale. A un certo punto sente il capitano, il terribile, implacabile Achab gridare l'ordine: "Barra sopravvento! Raddrizzala per il giro del mondo!".
Ismaele allora pensa: "Il giro del mondo! C'è molto in queste parole che ispira sentimenti d'orgoglio; ma dove conduce tutta questa circumnavigazione? Soltanto, attraverso innumerevoli pericoli, a quello stesso punto donde si è partiti, dove quelli che abbiamo lasciato indietro al sicuro sono stati avanti a noi tutto il tempo".
Eppure Ismaele continua a navigare.
Il protagonista, un marinaio di nome Ismaele, naviga sull'oceano. Insieme alla ciurma della nave dà la caccia a una pericolosa e inafferrabile balena che alla fine emergerà dal fondo e assesterà alla nave il colpo mortale. A un certo punto sente il capitano, il terribile, implacabile Achab gridare l'ordine: "Barra sopravvento! Raddrizzala per il giro del mondo!".
Ismaele allora pensa: "Il giro del mondo! C'è molto in queste parole che ispira sentimenti d'orgoglio; ma dove conduce tutta questa circumnavigazione? Soltanto, attraverso innumerevoli pericoli, a quello stesso punto donde si è partiti, dove quelli che abbiamo lasciato indietro al sicuro sono stati avanti a noi tutto il tempo".
Eppure Ismaele continua a navigare.
Ryszard Kapuściński - La prima guerra del football e altre guerre di poveri (Feltrinelli)
sabato 13 agosto 2011
I piccioni sono alieni
Due nuovi documenti video esclusivi sul grande problema che riguarda moltissime città italiane.
Compresa la mia.
Compresa la mia.
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venerdì 12 agosto 2011
Questo posto è una ficata
Sono in giro qui, sono in giro lì, e tu non puoi fermarmi. Sono in giro per Modenaaaa.
Su Il Resto del Carlino un pezzo di Francesco Prandini (c'è pure l'intervista originale in video) sul rapper di origine brasiliana Mc Fred Vinile che con il suo pezzo da 10.000 clic su YouTube "spopola" sul web.
(Qui, una ulteriore versione cult del video)
(grazie a Davide Mantovani per la segnalazione)
Su Il Resto del Carlino un pezzo di Francesco Prandini (c'è pure l'intervista originale in video) sul rapper di origine brasiliana Mc Fred Vinile che con il suo pezzo da 10.000 clic su YouTube "spopola" sul web.
(Qui, una ulteriore versione cult del video)
(grazie a Davide Mantovani per la segnalazione)
Faccio cose, vedo gente, prendo appunti
Da "Non leggere questo blog" riprendo questa meravigliosa intervista da La Zanzara di Radio 24 del 10 agosto scorso a uno degli uomini che, in questo momento di grave crisi, stanno lavorando per noi.
Per farci uscire dal tunnel.
Intervistato da Alessio Maurizi, sotto torchio è l'onorevole Bruno Cesario, sottosegretario all'Economia dell'esecutivo Berlusconi, ex PD, poi API di Rutelli, infine approdato ai Responsabili di Scilipoti.
Per farci uscire dal tunnel.
Intervistato da Alessio Maurizi, sotto torchio è l'onorevole Bruno Cesario, sottosegretario all'Economia dell'esecutivo Berlusconi, ex PD, poi API di Rutelli, infine approdato ai Responsabili di Scilipoti.
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Se un convegno cambia il mondo
In pochi si rendono conto quanto possa incidere nella nostra vita la visione filosofica che la sottende.
Oplà, viviamo. Et c'est tout.
Invece, il modo in cui viviamo dipende - inconsapevolmente - dal modo in cui ci rappresentiamo nel mondo e dal modo in cui rappresentiamo il mondo stesso. Weltanschauung, come dicono i tedeschi: visione del mondo.
Per quel che mi riguarda, almeno da quando possiedo l'età della ragione, il mio modo è stato quello del cosiddetto "pensiero debole": la realtà non esiste, tutto è interpretazione, ermeneutica.
Fu Heidegger - supremo guru all'epoca in cui studiavo filosofia a Venezia - a introdurre l'ermeneutica in ambito ontologico, finendo per rendere "il discorso sull'essere" - l'immutabile teorico - piegabile e pieghevole all'interpretazione.
Naturalmente la cosa non è valsa solo per me, ma per una bella fetta di umanità che ha vissuto quest'epoca di transizione a cavallo tra un millennio e l'altro come l'era della liquidità - per citare Bauman - in cui le uniche cifre dell'esistere sono l'incertezza e l'incessante mutare di forma e sostanza di tutte le cose: un eterno navigare in mare aperto in cui perfino i (temporanei) porti da raggiungere sono illusori perché anche le mappe si modificano - alla faccia della nostra ossessione per il gps - e laddove sorgeva un'isola al momento dell'agognato arrivo non si trova più niente.
Tra i prodotti di questa Weltanschauung si può inserire di tutto di più: l'economia in mano a una finanza del tutto sganciata da qualsiasi realtà - cadono governi e si bruciano miliardi (virtuali) a colpi di acquisti e vendite, per paure vere o presunte, dei broker di New York e Francoforte; si dà il via a orwelliane guerre permanenti in ogni angolo del mondo per combattere quel nemico "liquido" per eccellenza che è il "terrorismo"; la "sicurezza" diventa la principale paranoia del nostro tempo non solo per ragioni di convenienza di chi oggi detiene il potere in Occidente, ma soprattutto per la costante incertezza che governa la nostra esistenza a qualsiasi livello. Tutto fluttua. E parrebbe non esserci altro modo di stare al mondo.
La realtà quindi diventa quasi un gioco da ragazzi. Un esempio ancora più concreto? Ho conosciuto recentemente un militare appena rientrato dall'Afghanistan. Mi raccontava che tra i nostri militari laggiù circola la convinzione che Bin Laden sia stato ucciso già nel 2003. Viene tirato fuori dal cilindro solo qualche mese fa per ragioni di convenienza politica: si tratta ora di trovare un modo onorevole di sganciarsi da un conflitto che potrebbe tranquillamente andare avanti nelle medesime condizioni dei dieci anni passati (10 anni!) per i prossimi cento.
Naturalmente non so se sia vera la notizia: credo che nessuno avrà modo di verificarla né ora né forse mai. Forse è solo una delle mille bufale che prendiamo per buone ogni giorno. Ma in fondo, cosa cambia? Nell'iper-virtualità che sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle - non solo in regioni lontane dalle quali tutto non può che essere necessariamente filtrato (un po' come il passaparola, il gioco da bambini in cui il primo della fila diceva una parola che veniva ripetuta di orecchio in orecchio fino ad arrivare completamente distorta all'ultimo, quello che doveva pronunciarla ad alta voce provocando le risate generali), la verità è frutto nemmeno più di un'interpretazione, ma di una banale opinione, la tanto esecrata doxa che per i greci era la parente maligna di aletheia - verità - il metronomo della realtà indipendentemente da come la si pensasse a Mileto o ad Atene.
Questo il quadro. Che però, forse, vive una svolta.
Come segnala Maurizio Ferraris in un articolo davvero interessante uscito su Repubblica dell'8 agosto scorso: "Il ritorno al pensiero forte".
L'attacco del pezzo la dice lunga sulla consapevolezza di Ferraris circa la materia che sta trattando: "Uno spettro si aggira per l' Europa. È lo spettro di ciò che propongo di chiamare "New Realism", e che dà il titolo a un convegno internazionale che si terrà a Bonn la primavera prossima e che ho organizzato con due giovani colleghi, Markus Gabriel (Bonn) e Petar Bojanic (Belgrado). Il convegno (...) vuole restituire lo spazio che si merita, in filosofia, in politica e nella vita quotidiana, a una nozione, quella di "realismo", che nel mondo postmoderno è stata considerata una ingenuità filosofica e una manifestazione di conservatorismo politico".
Uno spettro si aggira per l'Europa? Addirittura una rivoluzione epocale come quella che ha segnato tutto il secolo scorso? C'è da sperarlo davvero.
Fondamenti della "rivoluzione" del "new realism"? "Argomentare contro la tesi secondo cui la verità è una nozione relativa, e del tutto dipendente dagli schemi concettuali con cui ci accostiamo al mondo.
È in questo quadro che si definiscono le parole-chiave del New Realism: Ontologia, Critica, Illuminismo.
Ontologia significa semplicemente: il mondo ha le sue leggi, e le fa rispettare. L' errore dei postmoderni poggiava su una semplice confusione tra ontologia ed epistemologia, tra quello che c' è e quello che sappiamo a proposito di quello che c' è. È chiaro che per sapere che l' acqua è H O ho bisogno di linguaggio, di schemi e di categorie. Ma l' acqua bagna e il fuoco scotta sia che io lo sappia sia che io non lo sappia, indipendentemente da linguaggi e da categorie. A un certo punto c' è qualcosa che ci resiste. È quello che chiamo "inemendabilità", il carattere saliente del reale. Che può essere certo una limitazione ma che, al tempo stesso, ci fornisce proprio quel punto d' appoggio che permette di distinguere il sogno dalla realtà e la scienza dalla magia.
Critica, poi, significa questo. L' argomento dei postmoderni era che l' irrealismo e il cuore oltre l'ostacolo sono emancipatori. Ma chiaramente non è così, perché mentre il realismo è immediatamente critico ("le cose stanno così", l' accertamento non è accettazione!), l' irrealismo pone un problema. Se pensi che non ci sono fatti, solo interpretazioni, come fai a sapere che stai trasformando il mondo e non, invece, stai semplicemente immaginando di trasformarlo, sognando di trasformarlo? Nel realismo è incorporata la critica, all' irrealismo è connaturata l' acquiescenza, la favola che si racconta ai bambini perché prendano sonno.
Veniamo, infine, all' Illuminismo. La storia recente ha confermato la diagnosi di Habermas che trent'anni fa vedeva nel postmodernismo un'ondata anti-illuminista. L'Illuminismo, come diceva Kant, è osare sapere ed è l' uscita dell'uomo dalla sua infanzia. Da questo punto di vista, l'Illuminismo richiede ancora oggi una scelta di campo, e una fiducia nell' umanità, nel sapere e nel progresso. L' umanità deve salvarsi, e certo mai e poi mai potrà farlo un Dio. Occorrono il sapere, la verità e la realtà. Non accettarli, come hanno fatto il postmoderno filosofico e il populismo politico, significa seguire l' alternativa, sempre possibile, che propone il Grande Inquisitore: seguire la via del miracolo, del mistero e dell'autorità".
Non sarà certo un convegno a cambiare il mondo. Ma da qualche parte - per distoglierlo dall'orrore che è diventato - bisognerà pur cominciare.
Oplà, viviamo. Et c'est tout.
Invece, il modo in cui viviamo dipende - inconsapevolmente - dal modo in cui ci rappresentiamo nel mondo e dal modo in cui rappresentiamo il mondo stesso. Weltanschauung, come dicono i tedeschi: visione del mondo.
Per quel che mi riguarda, almeno da quando possiedo l'età della ragione, il mio modo è stato quello del cosiddetto "pensiero debole": la realtà non esiste, tutto è interpretazione, ermeneutica.
Fu Heidegger - supremo guru all'epoca in cui studiavo filosofia a Venezia - a introdurre l'ermeneutica in ambito ontologico, finendo per rendere "il discorso sull'essere" - l'immutabile teorico - piegabile e pieghevole all'interpretazione.
Naturalmente la cosa non è valsa solo per me, ma per una bella fetta di umanità che ha vissuto quest'epoca di transizione a cavallo tra un millennio e l'altro come l'era della liquidità - per citare Bauman - in cui le uniche cifre dell'esistere sono l'incertezza e l'incessante mutare di forma e sostanza di tutte le cose: un eterno navigare in mare aperto in cui perfino i (temporanei) porti da raggiungere sono illusori perché anche le mappe si modificano - alla faccia della nostra ossessione per il gps - e laddove sorgeva un'isola al momento dell'agognato arrivo non si trova più niente.
Tra i prodotti di questa Weltanschauung si può inserire di tutto di più: l'economia in mano a una finanza del tutto sganciata da qualsiasi realtà - cadono governi e si bruciano miliardi (virtuali) a colpi di acquisti e vendite, per paure vere o presunte, dei broker di New York e Francoforte; si dà il via a orwelliane guerre permanenti in ogni angolo del mondo per combattere quel nemico "liquido" per eccellenza che è il "terrorismo"; la "sicurezza" diventa la principale paranoia del nostro tempo non solo per ragioni di convenienza di chi oggi detiene il potere in Occidente, ma soprattutto per la costante incertezza che governa la nostra esistenza a qualsiasi livello. Tutto fluttua. E parrebbe non esserci altro modo di stare al mondo.
La realtà quindi diventa quasi un gioco da ragazzi. Un esempio ancora più concreto? Ho conosciuto recentemente un militare appena rientrato dall'Afghanistan. Mi raccontava che tra i nostri militari laggiù circola la convinzione che Bin Laden sia stato ucciso già nel 2003. Viene tirato fuori dal cilindro solo qualche mese fa per ragioni di convenienza politica: si tratta ora di trovare un modo onorevole di sganciarsi da un conflitto che potrebbe tranquillamente andare avanti nelle medesime condizioni dei dieci anni passati (10 anni!) per i prossimi cento.
Naturalmente non so se sia vera la notizia: credo che nessuno avrà modo di verificarla né ora né forse mai. Forse è solo una delle mille bufale che prendiamo per buone ogni giorno. Ma in fondo, cosa cambia? Nell'iper-virtualità che sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle - non solo in regioni lontane dalle quali tutto non può che essere necessariamente filtrato (un po' come il passaparola, il gioco da bambini in cui il primo della fila diceva una parola che veniva ripetuta di orecchio in orecchio fino ad arrivare completamente distorta all'ultimo, quello che doveva pronunciarla ad alta voce provocando le risate generali), la verità è frutto nemmeno più di un'interpretazione, ma di una banale opinione, la tanto esecrata doxa che per i greci era la parente maligna di aletheia - verità - il metronomo della realtà indipendentemente da come la si pensasse a Mileto o ad Atene.
Questo il quadro. Che però, forse, vive una svolta.
Come segnala Maurizio Ferraris in un articolo davvero interessante uscito su Repubblica dell'8 agosto scorso: "Il ritorno al pensiero forte".
L'attacco del pezzo la dice lunga sulla consapevolezza di Ferraris circa la materia che sta trattando: "Uno spettro si aggira per l' Europa. È lo spettro di ciò che propongo di chiamare "New Realism", e che dà il titolo a un convegno internazionale che si terrà a Bonn la primavera prossima e che ho organizzato con due giovani colleghi, Markus Gabriel (Bonn) e Petar Bojanic (Belgrado). Il convegno (...) vuole restituire lo spazio che si merita, in filosofia, in politica e nella vita quotidiana, a una nozione, quella di "realismo", che nel mondo postmoderno è stata considerata una ingenuità filosofica e una manifestazione di conservatorismo politico".
Uno spettro si aggira per l'Europa? Addirittura una rivoluzione epocale come quella che ha segnato tutto il secolo scorso? C'è da sperarlo davvero.
Fondamenti della "rivoluzione" del "new realism"? "Argomentare contro la tesi secondo cui la verità è una nozione relativa, e del tutto dipendente dagli schemi concettuali con cui ci accostiamo al mondo.
È in questo quadro che si definiscono le parole-chiave del New Realism: Ontologia, Critica, Illuminismo.
Ontologia significa semplicemente: il mondo ha le sue leggi, e le fa rispettare. L' errore dei postmoderni poggiava su una semplice confusione tra ontologia ed epistemologia, tra quello che c' è e quello che sappiamo a proposito di quello che c' è. È chiaro che per sapere che l' acqua è H O ho bisogno di linguaggio, di schemi e di categorie. Ma l' acqua bagna e il fuoco scotta sia che io lo sappia sia che io non lo sappia, indipendentemente da linguaggi e da categorie. A un certo punto c' è qualcosa che ci resiste. È quello che chiamo "inemendabilità", il carattere saliente del reale. Che può essere certo una limitazione ma che, al tempo stesso, ci fornisce proprio quel punto d' appoggio che permette di distinguere il sogno dalla realtà e la scienza dalla magia.
Critica, poi, significa questo. L' argomento dei postmoderni era che l' irrealismo e il cuore oltre l'ostacolo sono emancipatori. Ma chiaramente non è così, perché mentre il realismo è immediatamente critico ("le cose stanno così", l' accertamento non è accettazione!), l' irrealismo pone un problema. Se pensi che non ci sono fatti, solo interpretazioni, come fai a sapere che stai trasformando il mondo e non, invece, stai semplicemente immaginando di trasformarlo, sognando di trasformarlo? Nel realismo è incorporata la critica, all' irrealismo è connaturata l' acquiescenza, la favola che si racconta ai bambini perché prendano sonno.
Veniamo, infine, all' Illuminismo. La storia recente ha confermato la diagnosi di Habermas che trent'anni fa vedeva nel postmodernismo un'ondata anti-illuminista. L'Illuminismo, come diceva Kant, è osare sapere ed è l' uscita dell'uomo dalla sua infanzia. Da questo punto di vista, l'Illuminismo richiede ancora oggi una scelta di campo, e una fiducia nell' umanità, nel sapere e nel progresso. L' umanità deve salvarsi, e certo mai e poi mai potrà farlo un Dio. Occorrono il sapere, la verità e la realtà. Non accettarli, come hanno fatto il postmoderno filosofico e il populismo politico, significa seguire l' alternativa, sempre possibile, che propone il Grande Inquisitore: seguire la via del miracolo, del mistero e dell'autorità".
Non sarà certo un convegno a cambiare il mondo. Ma da qualche parte - per distoglierlo dall'orrore che è diventato - bisognerà pur cominciare.
Dal mio amico Stefano Aurighi un aneddoto di quasi 25 anni fa. Università di Bologna, tra studenti e un docente si discute al bar di come definire in un solo termine i seguaci del (già dominante) "pensiero debole": i flebili fu la felice espressione partorita da quell'improvvisato simposio |
mercoledì 10 agosto 2011
Nostos - homecoming
Viaggiavo in automobile quando vidi in lontananza qualcosa che sembrava un cappello da indio posato sulla sabbia.
Mi fermai e mi avvicinai a piedi.
Nascosto sotto il cappello stava seduto un indio, dentro una cunetta scavata nella sabbia per proteggersi dal vento. Davanti a sé aveva un grammofono di legno dalla tromba contorta e scrostata.
Il vecchio girava in continuazione la manovella (evidentemente il grammofono aveva la molla rotta) e ascoltava un disco (aveva solo quello) così consumato che non si vedevano più i solchi.
Dalla tromba uscivano in un fruscio roco, interrotto da frequenti crepitii, i frammenti di una canzone latinoamericana: Rio Manzanares dejame pasar [Rio Manzanares lasciami passare/andare].
Benché l'avessi salutato e gli fossi rimasto accanto a lungo, il vecchio non mi prestava la minima attenzione.
"Padre," gli dissi infine, "qui non c'è nessun fiume".
"Figlio" rispose dopo un po', "il fiume sono io e non riesco a oltrepassarmi".
Non disse altro, continuò solo a girare la manovella e ad ascoltare il disco.
Mi fermai e mi avvicinai a piedi.
Nascosto sotto il cappello stava seduto un indio, dentro una cunetta scavata nella sabbia per proteggersi dal vento. Davanti a sé aveva un grammofono di legno dalla tromba contorta e scrostata.
Il vecchio girava in continuazione la manovella (evidentemente il grammofono aveva la molla rotta) e ascoltava un disco (aveva solo quello) così consumato che non si vedevano più i solchi.
Dalla tromba uscivano in un fruscio roco, interrotto da frequenti crepitii, i frammenti di una canzone latinoamericana: Rio Manzanares dejame pasar [Rio Manzanares lasciami passare/andare].
Benché l'avessi salutato e gli fossi rimasto accanto a lungo, il vecchio non mi prestava la minima attenzione.
"Padre," gli dissi infine, "qui non c'è nessun fiume".
"Figlio" rispose dopo un po', "il fiume sono io e non riesco a oltrepassarmi".
Non disse altro, continuò solo a girare la manovella e ad ascoltare il disco.
Ryszard Kapuściński - La prima guerra del football e altre guerre di poveri (Feltrinelli)
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