Non sapevo proprio che Amaca scrivere, oggi su questo giornale che è in lutto, e si sente più solo e più debole perché ha perduto uno dei suoi uomini più bravi e più forti. Poi ho pensato che la cosa più giusta da dire, su Peppe e di riflesso su noi tutti, era anche la più semplice: il giornalismo, che è uno dei mestieri più ignobili del mondo (rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli), può anche diventare uno dei mestieri più coraggiosi e necessari. A un patto: che il giornalista ci creda e che lo voglia. D’Avanzo ci ha creduto e lo ha voluto.
Il giornalismo non esiste, esistono i giornalisti. Quelli bravi e anche quelli bravissimi non li riconosci perché sono infallibili (ogni grande firma ha in archivio i suoi errori). Li riconosci perché non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere. Le parole senza significato sono quelle che occultano, coprono tutto sotto una coltre inespressiva, sono il bla-bla che ammazza la pubblica opinione e la confonde.
Le parole bene assestate, scelte con fatica e a volte dissotterrate dal silenzio e dal conformismo, sono un’arma fantastica e un dono alla comunità nella quale si vive. Un dono di libertà. Il giornalismo non è all’altezza di quel dono, ma alcuni giornalisti sì.
(Michele Serra su Repubblica del 31 luglio 2011)
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