domenica 31 luglio 2011

L'Amaca del 31 luglio 2011

Non sapevo proprio che Amaca scrivere, oggi su questo giornale che è in lutto, e si sente più solo e più debole perché ha perduto uno dei suoi uomini più bravi e più forti. Poi ho pensato che la cosa più giusta da dire, su Peppe e di riflesso su noi tutti, era anche la più semplice: il giornalismo, che è uno dei mestieri più ignobili del mondo (rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli), può anche diventare uno dei mestieri più coraggiosi e necessari. A un patto: che il giornalista ci creda e che lo voglia. D’Avanzo ci ha creduto e lo ha voluto.

Il giornalismo non esiste, esistono i giornalisti. Quelli bravi e anche quelli bravissimi non li riconosci perché sono infallibili (ogni grande firma ha in archivio i suoi errori). Li riconosci perché non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere. Le parole senza significato sono quelle che occultano, coprono tutto sotto una coltre inespressiva, sono il bla-bla che ammazza la pubblica opinione e la confonde.

Le parole bene assestate, scelte con fatica e a volte dissotterrate dal silenzio e dal conformismo, sono un’arma fantastica e un dono alla comunità nella quale si vive. Un dono di libertà. Il giornalismo non è all’altezza di quel dono, ma alcuni giornalisti sì.

(Michele Serra su Repubblica del 31 luglio 2011)

venerdì 29 luglio 2011

Ho un blog gemello dall'altra parte del mondo

Anzi, ho una blogga gemella dall'altra parte del mondo.

Modena, città del Mito

Guardo questo video e la penso esattamente come scritto in un commento su YouTube: "This video reminds me of all those movies where nyc is almost a character by itself".

Non sono mai stato a Nyc, ma dubito che il mio immaginario circa la Grande Mela ne risenta rispetto a chi, fisicamente, si è fatto un tour tra Manhattan e la Statua della libertà.

Ergo, la città - qualsiasi città - è quel che è, ma per la creazione del Mito è molto più importante il racconto che dieci, cento, diecimila o centomila ne hanno fatto investendo un luogo dei propri significati particolari. In fondo il mito, rivestito di realtà, potrebbe anche essere semplicemente visto come un orribile faccione verdastro e ossidato che interrompe l'infinitudine di un cielo azzurro e, per estensione, dell'universo intero.

Per farla breve, il mio prossimo progetto sarà ripetere l'Operazione Nyc per la mia città.
La sonnacchiosa Modena non più, mai più, come un qualsiasi punto della provincia emiliana su Google maps, ma addirittura "Modena, città del mito, anzi: del Mito".

Ebbene sì, Modena come Nyc. Né più. Né meno.
A dire il vero ci aveva già provato la Gazza, quotidiano locale, qualche settimana fa.
Titolo testuale: "Modena come New York".
Però dai, tanto spreco mitologico per quattro palazzoni in costruzione vicino alla Maserati, mi pare veramente fuori luogo.
Ma no, la mia Città del Mito sarà tutt'altra cosa.

Innanzitutto "almost a character by itself", ma soprattutto, niente a che fare con miti tipo Pavarotti, Ferrari, l'aceto balsamico e balle varie.
Roba da Touring Club.

No, io penso a Sangue & Asfalto, Bar affollati & Vite perdute, Fughe nella Notte & Amori impossibili, eccetera, eccetera...
Insomma, tutta roba che a Modena non esiste proprio, ma che creerò io grazie alle possibilità offerte dall'estetica contemporanea fatta di video homemade ricolmi di inestetismi e inguardabili da altri ad eccezione dell'autore stesso.

In fondo, tutta roba che già faccio da tempo, ma senza questo cappello teorico necessario per la Creazione del Mito.

Alors, à bientôt.

Baila! in un falso movimento

In esclusiva, ecco le mie ultime produzioni video legate al concetto di "durata".
Per la comprensione del quale, rimando al capolavoro di Peter Handke "Canto alla durata".
Poemetto da tempo fuori produzione e pressoché introvabile (a parte per chi, come me, ce l'ha già).
Quindi il rimando è del tutto inutile.



giovedì 28 luglio 2011

Quel pezzetto d'Emilia secessionista ante litteram

"Chissà in quanti se la ricordano la storia dell’Isola delle Rose, vicenda che si assesta ai confini della realtà – come recita il sottotitolo della rassegna documentaristica che la ospita – quanto basta da essere stata inserita in “Estate doc”, ciclo di documentari calato in quel di Carpi, provincia di Modena. A riproporla il 28 luglio (presso il “Coccobello – Spazio Giovani Mac’è!” a partire dalle 21.30) è il lavoro di due registi – Stefano Bisulli e Roberto Naccari – che nel 2009 firmano “Insulo de la Rozoj. La libertà fa paura”. E la storia che raccontano potrebbe sembrare fantapolitica, per quanto sia tutto vero: nel 1968, in un’Italia che il 1 marzo era balzata a pie’ pari nella contestazione con gli scontri romani di Valle Giulia, c’è chi saluta la nazione e decide di farsene una propria.

Accade al largo delle coste di Rimini, a 11 chilometri e 500 metri dalla battigia per la precisione, abbastanza lontano da non avere fastidi da parte di qualche Stato sovrano di più lunga tradizione, in primis l’Italia. Sulla quale peserebbe, fa intendere il protagonista di questa storia, la “poco lusinghiera” non belligeranza a fianco del fronte antinazista. Perché l’ingegnere Giorgio Rosa, il suddetto protagonista, classe 1925 e un arruolamento nella Repubblica Sociale Italiana dopo l’armistizio di Cassabile e la nascita della Repubblica di Salò il 23 settembre 1943, culla il sogno di abbandonare il tricolore.

E arriva a sfiorare l’obiettivo il 1 maggio 1968, quando ha luogo la cerimonia di costituzione della neonata Isola delle Rose, Stato indipendente (almeno nelle intenzioni) festeggiato sulla piattaforma di recentissima costituzione da sei professionisti e dalle rispettive famiglie, riuniti all’ora di pranzo intorno a una tavola imbandita stile banchetto nuziale. Tutti ignari che in brevissimo tempo quell’oasi in mare aperto si sarebbe inabissata a forza di esplosivo".

Leggi tutto l'articolo su Il Fatto Quotidiano.

Italienische Reise

L'Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole.
Onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé
.


Il Ruhrfestspiele Recklinghausen è un festival di teatro che si tiene in Germania, nel Renania settentrionale-Westfalia, tra maggio e giugno.
Tra i suoi sponsor c'è anche Evonik, una multinazionale tedesca della chimica.
Che, per promuovere l'evento, ha scelto la campagna che vedete qui sotto nella fotografia (la fonte è questa, un blog tedesco evidentemente gestito da un appassionato di musica e cose italiane).

Il manifesto mette Berlusconi e John Malcovich - protagonista in Germania di "The Giacomo Variations", un'opera ispirata all'autobiografia di Casanova - l'uno accanto all'altro e recita: "interpreta il Casanova a Roma" per il nostro premier e "interpreta Casanova al festival" per Malcovich.
Naturalmente, Evonik "augura buon divertimento al festival di Recklinghausen 2011..."

Commenta il blogger: "Ora, il premier italiano non è certamente il primo statista il cui umorismo viene utilizzato per una campagna pubblicitaria, ma trovo notevole quanto sia manifesto il fatto che Berlusconi venga percepito come una barzelletta in questo Paese".

mercoledì 27 luglio 2011

Costumi. Da bagno (inteso come sinonimo)

Troppo bella la vignetta di Massimo Bucchi su Repubblica di oggi per non riproporla.
Un vero editoriale.

lunedì 25 luglio 2011

domenica 24 luglio 2011

Vajont, Italia 2011

E' sempre istruttivo leggere e rileggere "Sulla pelle viva", il racconto di un disastro annunciato - quello del Vajont - scritto dalla giornalista Tina Merlin che, unica all'epoca, denunciò ripetutamente nei suoi articoli su L'Unità quello che stava accadendo, quel che sarebbe potuto succedere, quel che poi accadde.

E' utile leggerlo, non solo perché è un'inchiesta serratissima su una delle più grandi tragedie italiane del dopoguerra, ma perché nel racconto di quell'Italia - un Paese in cui gli interessi dello Stato non sono gli stessi dei cittadini, ma colludono con quelli di un potere economico spregiudicato e attento esclusivamente al profitto a qualsiasi costo -  è fin troppo facile trovare le radici del presente.

Nel racconto del disastro del Vajont è reso esplicito il tradimento già consumato dei valori della Resistenza, della Costituzione e della neonata Repubblica ad appena dieci anni dalla sua fondazione (il disastro è dell'ottobre 1963, ma i primi lavori per la costruzione della diga iniziano nel 1957). L'Italia di quegli anni è un Paese già corrotto e corruttibile, con la parziale attenuante (ma vallo a spiegare ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime di quella strage) di un boom economico che produsse una straordinaria spinta per la conquista di un benessere che nel suo incedere travolse tutto il passato (come disse Marco Paolini nella sua Orazione civile, la tragedia del Vajont fu "il funerale di quell'Italia contadina che non serviva più a nessuno" - qui).

Oggi i meccanismi di esercizio del potere nell'interesse primario di pochi, sono pressoché identici, con l'aggravante che non c'è nemmeno più un orizzonte da raggiungere, una nuova frontiera da conquistare. Per il resto, nell'Italia gattopardesca in cui da quel lontano 1963 tutto sembra essere cambiato, tutto in realtà è rimasto identico.

sabato 23 luglio 2011

Di censure e caste, scopiazzature e colle, e di altri incidenti

Che il "filosofo" pop per eccellenza, Umberto Galimberti, fosse uno strepitoso affabulatore e un ottimo aggregatore di idee altrui, ma decisamente più scarso dal punto di vista teoretico, noi vecchi studenti di filosofia a Venezia lo sappiamo da sempre.
Sto parlando dei primi anni '80 quando l'allievo di Emanuele Severino (lui sì, un grandissimo metafisico!) era già nel pieno della carriera accademica ma appena agli inizi di quello che poi sarebbe divenuto uno sfolgorante shining mediatico.

Negli anni, soprattutto sulle pagine di quotidiani e giornali destinati alla sinistra colta (mica quella che va a ballare il liscio alle ex feste dell'Unità), il Nostro ha disquisito su tutto distribuendo perle di saggezza come fosse pop-corn.
Buon per lui e, al solito, per tutte le anime belle che da simili letture hanno tratto un qualche giovamento.

Due anni fa viene fuori su Il Giornale la storia del copia/incolla, vizietto un po' troppo pronunciato del Professore. Un'abitudine di cui si sussurrava a bassa voce tra le malelingue studentesche già negli anni '80 senza che ovviamente nessuno si sbattesse a fare delle verifiche.

Non voglio ripercorrere qui le polemiche che sono succedute (anche) alla pubblicazione di un libro sull'Affaire Galimberti (qui l'introduzione in pdf): mi basta il patetico mea culpa del Professore che seguì allo scoop del Giornale.

Chi fosse interessato a saperne di più, cerchi con Google, anche se rimango stupito nel leggere che qualcuno riesce a fare di un tristissimo caso di plagi - a quanto pare reiterati - una questione di destra/sinistra (che c'entra Galimberti col "Metodo Boffo"?), per cui che ci sarebbe "di male se Galimberti usa parole di altri per documentare e argomentare le proprie tesi?".
Amico, c'è di male che se comincio a far passare per miei (che è diverso dal "citare") su questo blog pensosi e profondi articoli di Stiglitz, tanto per dirne uno, e magari ci faccio anche un po' di soldi cominciando a pubblicare qua e là, io personalmente non mi sentirei particolarmente orgoglioso.

Ciò detto, quel che mi interessa qui rilevare è che a distanza di oltre due anni dai primi fuochi, ieri è arrivato il richiamo ufficiale dell'Università di Ca' Foscari che invita Galimberti ad "attenersi sempre all’uso degli standard nazionali e internazionali per la doverosa citazione delle fonti". Bontà loro.

Ma chissà cosa ne pensano della timida censuretta dei colleghi al Professore i due studenti sospesi pochi giorni fa dall'ateneo veneziano perché, grazie al software antiplagio dell'Università, si è scoperto che le loro tesi erano copiate in gran parte dal web.

Censura, che così commenta ancora Il Giornale: "E se a qualcuno (...) venisse in mente di dire che «la montagna ha partorito il topolino» conviene che si fermi subito. Per gli standard dell’università italiana che un professore riceva un richiamo formale è qualcosa di eccezionale".

Appunto.

Il Fatto mi dà l'orticaria

Ci sono tanti modi di fare giornalismo.
E tanti modi di guardarsi l'ombelico.
Mentre tutti i giornali del mondo costruiscono le proprie home sugli attentati in Norvegia, Il Fatto Quotidiano pensa bene di illuminare in primis il lettore sulle telefonate tra Minzolini (Minzolini!?!), Letta e Alemanno.
Scelta libera, scelta legittima, per carità, ma viene da dire: ma chissene...

Mentre Libero e Il Giornale li leggo con occhio burlesque, per il quotidiano di Travaglio e Padellaro ho invece un'intolleranza quasi fisica: non riesco nemmeno a tenerlo in mano; posso leggerlo solo online.
Ciò detto: che viva e prosperi finché avrà lettori disposti a spendere il proprio denaro e inserzionisti desiderosi di far conoscere i propri prodotti.

Il Fatto è indubbiamente l'house organ del partito dei giudici, ennesima variante di questo Paese malato.
Qualsiasi sparata di qualsiasi giudice, gip o pm diventa sul Fatto verità incontrovertibile.
Invece bisognerebbe dirlo chiaro e forte, una volta per tutte, che in Italia la magistratura è semplicemente una casta né più né meno uguale alle altre. Politici, giornalisti (quelli che "contano" però, c'è anche un esercito di sfigati a 2,5 euro lordi a pezzo che non conta assolutamente nulla), baroni universitari: tutti affratellati nello stesso sistema corporativo che blocca questo Paese.

In Italia la giustizia andrebbe riformata eccome, perché fa schifo. E - per dirne una che sembra molto berlusconiana - i magistrati dovrebbero rispondere dei loro errori (e pure i giornalisti, quelli che "contano" in primo luogo). Perché ne fanno. E parecchi.
Certo che la giustizia andrebbe riformata di corsa, solo che - ennesimo blocco - in Italia non può farlo Berlusconi, quello che più lo desidererebbe, per ovvi motivi.

Ora, un giornale che trasforma sistematicamente in comandamento anche il più improbabile avviso di garanzia - in nome di un fideismo castale del tutto simile a quello dei parlamentari della maggioranza che votano compatti per "Ruby nipote di Mubarak" - non ha nulla di diverso dai tanto esecrati giornali di famiglia berlusconiani.
Solo che al sottoscritto, al contrario di quelli, non fa nemmeno ridere.

giovedì 21 luglio 2011

Spider Truman compra scarpe a Bologna

Giorno dopo giorno, si scopre un po' del velo che maschera l'ormai leggendaria figura di Spider Truman. Sappiamo ad esempio grazie al blog "Il mio pensiero" che Spider in realtà si chiama Lina. Che è un nome di battaglia veramente partigiano.

Poco fa, qualcosa l'ho scoperto anch'io, semplicemente andando sul suo blog "I segreti della casta": Spider Lina compra scarpe a Bologna. O, se non le compra lui/lei, lo consiglia a te. Soprattutto se, come me, ti colleghi da Bologna. Adsense non sbaglia (e la caccia continua).

mercoledì 20 luglio 2011

Hanno ucciso l'Uomo ragno

I suoi oltre 300.000 fan su Facebook hanno scoperto che il fantomatico Spider che avrebbe dovuto rivelare "i segreti della casta di Montecitorio" è un po' troppo Truman Show.

Così, i commenti dopo l'ultimo post hollywodiano (ora cancellato per la valanga di improperi ricevuti)

"così come sono comparso, così voglio scomparire in pace. anzi in guerra.
Ho deciso la data della mia morte: il 14 ottobre questa pagina verrà cancellata.
Il giorno prima scannerizzo e invio il mio archivio su internet, in modo che chiunque possa salvarlo.
Il giorno dopo, il 15 ottobre, alle 14:30 un milione di persone marceranno verso Montecitorio.
Sarà il giorno dell'indignazione, sarà il giorno della vendetta..."

non vanno giù per il sottile:




martedì 19 luglio 2011

Modena violenta

Ore 21,50 circa. Nella notte, la città vuole sangue.
La paura serpeggia tra i contribuenti.
Per questo, nella notte, si muove impavida la ronda.

Ore 21,54 circa.
La città è salva!


Rondisti di questa notte: Davide Lombardi e Paolo Tomassone.

Reboot your Spider

Il caso di Spider Truman, l' (ipotetico) insider del Parlamento che ha aperto una pagina Facebook e un blog che raccontano dall'interno di Montecitorio privilegi e segreti della "casta", raggiungendo in pochi giorni oltre 300.000 follower, è l'esempio più recente della protesta sempre più montante contro i privilegi della classe politica di questo Paese.

Nel video che segue ho provato a registrare la velocità impressionante in cui vengono inseriti sulla pagina di Facebook  nuovi commenti e like ogni volta che Spider inserisce un post qualsiasi. Come nell'esempio del video, anche una cosa banalissima del tipo: "spider Truman torna a casa dal lavoro alle 16:00. ci si sente per quell'ora". Ad ogni refresh ogni pochi secondi parte un botto di "like" e commenti. Mentre scrivo queste righe sono già 771 i "mi piace" e 263 i commenti.

Ho sposato Miss Marple

Memorabile il "Vademecum per la tua sicurezza" distribuito in questi giorni a Roma, un opuscolo di 23 pagine - qui in pdf - che è veramente tutto da leggere. Un progetto "per le donne" realizzato dall'Agenzia di comunicazione Omniares col patrocinio del Comune che, nelle intenzioni, dovrebbe offrire a tutte utili suggerimenti per "mettere in sicurezza" la propria esistenza.

Qualche esempio tratto dall'infinito elenco di precauzioni/attenzioni da prendere in ogni situazione (perfino in casa) per sopravvivere in questa giungla: roba che o sei una specie di Miss Marple o son veramente c***i amari:
  • Cerca di tenere sempre molto alto il tuo livello di attenzione riguardo tutto ciò che ti è intorno, in particolare se rientri a casa da sola o abiti in luoghi isolati.
  • Adotta un atteggiamento “sicuro” anche se avverti una situazione di pericolo.
  • Evita strade buie o deserte anche se ti trovi nel centro della città e non pensare mai “ tanto a me non succede".
  • Quando viaggi su tragitti abituali cerca di memorizzare dove si trovano stazione di polizia, carabinieri e ospedale
  •  Se noti un veicolo sospetto annota il numero di targa
  • Non inserire informazioni personali sui social network (questo è veramente fantastico!!! Ndr)
  • Tieni il cellulare impostato sul 112/113 (assolutamente sconsigliato usare per svago mp3 o cellulare perché ci rende meno attente e più vulnerabili essendo distratte dalla conversazione/messaggio/ascolto di un brano musicale).
  • Ecc. ecc.
    Fin qua, paranoia pura, d'accordo: uscire di casa (ma manco lì ci si può rilassare un po'...) per una donna a Roma  richiede lo stesso livello di attenzione del pattugliamento di una via a Baghdad.

    La polemica che è seguita all'uscita dell'opuscolo (riportata da Paese Sera) però, riguarda l'inserto pubblicitario nelle ultime due  pagine del vademecum: la soluzione ideale per la propria sicurezza? Il Gps PeTra dal costo base di 300 euro, "un dispositivo tecnologico all’avanguardia dotato di un localizzatore Gps e di un tasto di allarme, il KeyFob, in grado di inviare una richiesta di soccorso ad una centrale operativa, attiva 24 ore su 24, fornendo le coordinate Gps per un’accurata ed immediata localizzazione dell’emergenza".


    A

    lunedì 11 luglio 2011

    Lo avrei chiesto ad Aldo

    Per quanto sintetica, a leggere in questo articolo di Repubblica Bologna la storia del figlio del Migliore (interessanti anche le versioni Gazzetta e TRC), morto a Modena qualche giorno fa dopo 30 anni di ricovero in struttura, si intuisce di più di un'epoca, quella che ha visto protagonista Togliatti alla guida del PCI, di molti saggi che del Migliore ne ricostruiscono la vicenda pubblica.

    Aldo Togliatti
    Naturalmente a me è venuta subito in mente la discussione tra John Reed e Grigory Zinoviev in Reds, il filmone di Warren Beatty dedicato al giornalista e rivoluzionario autore de "I dieci giorni che sconvolsero il mondo". Il dialogo tra i due si svolge nella fase in cui - secondo Beatty - inizia per Reed la disillusione nei confronti di quel che avrebbe dovuto essere il sol dell'avvenire e i suoi artefici. Jack (Reed) è in Russia ma vorrebbe rientrare negli Usa per Natale per ricongiungersi con Louise Bryant, la sua compagna. Zinoviev invece gli impone di restare in Russia in aiuto alla rivoluzione in pericolo: la rivoluzione e il partito vengono ben prima della vita personale.

    Online il dialogo tra i due si trova solo in inglese, ecco tradotta la parte che mi interessa.

    Zinoviev: “E chi stabilisce qual è la verità? Tu o il Partito? Qual è l'obiettivo della tua vita, parlare solo a te stesso?"
    Reed: “Non lo devi dire tu quale sia l'obiettivo della mia vita!”
    Zinoviev: “La tua vita? Mi pare tu non abbia ancora deciso a cosa deve essere dedicata. Vedi te stesso come un artista e allo stesso tempo un rivoluzionario. Come l'amante di tua moglie e allo stesso tempo il portavoce del Partito in America.”
    Reed: “Zinoviev, se voi non pensate che un uomo possa essere un individuo e allo stesso tempo servire la collettività, parlare per il proprio Paese e l'Internazionale insieme, o amare la propria donna e insieme essere fedele alla rivoluzione, allora avrete in mano un uomo che non può dare nulla di sè.”
    Zinoviev: “Sei disposto a dare tutto te stesso per la rivoluzione?”
    Reed: “Se separi un uomo da ciò che ama ciò che otterrete sarà eliminare ciò che lo rende unico, e se eliminate questa unicità, eliminate il dissenso.”
    Zinoviev: “Compagno Reed!”
    Reed: “ E se eliminate il dissenso, uccidete la Rivoluzione. La rivoluzione è il dissenso!"

    Chissà se il Migliore la pensava più come Zinoviev o come Reed.
    Potendo, lo avrei chiesto ad Aldo.



    Articolo da La Gazzetta di Modena del 12-07-2011

    L'articolo da L'Unità del 12 luglio 2011.

    giovedì 7 luglio 2011

    Quel che resta del pozzo

    Un breve spezzone tratto dal film-documentario del 2006 "The Oil Crash: Un futuro inquietante" realizzato dal giornalista svizzero Basil Gelpke insieme a Ray McCormack.
    Il film (60 min circa, qui su YouTube) affronta il tema della dipendenza dal petrolio della nostra civiltà.

    Nello spezzone si vede quel che resta di alcune zone del mondo (Texas, Venezuela e Azerbaigian) una volta esauriti i pozzi petroliferi.
    Inquietante. Il presente, ovviamente.

    A guardare nei ricordi è già oggi

    Fa un certo effetto vedere questo signore - oggi sessantenne - e ripensare a come eravamo.

    Francesco De Gregori in una recente immagine tratta dal suo sito ufficiale
    Già, come eravamo?
    Più o meno come si vede nelle immagini sotto.
    Anche se - per me - non era il '56, ma il periodo a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta.

    A Berlino
    A Roma (in gita, come giusto)
    Naturalmente, "a guardare nei ricordi sembra ancora ieri", ma senza alcuna nostalgia perchè tanto "non ritorna mai più niente".


    Bella ragazza, begli occhi e bel cuore,
    bello sguardo da incrociare,
    sarebbe bello una sera doverti riaccompagnare.
    Accompagnarti per certi angoli del presente,
    che fortunatamente diventeranno curve nella memoria.
    Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente,
    ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria.


    Non posso negare però un lieve riflusso del cuore guardando la foto pubblicata nell'articolo che ha dato origine a tutto questo. E' la copertina dell'album del 1978: "De Gregori". Quel ragazzo che calcia il pallone giocava per un'intera generazione. E chissà se allora lui lo capiva.


    Ma il gioco della memoria finisce qui. Perchè nel già citato articolo (sempre lo stesso, sempre quello che ha dato origine a tutto questo), l'autore, Marco Lodoli (uno che col '56 c'entra davvero), non si balocca affatto tra le curve della memoria ma, semmai, accompagna il lettore in certi angoli del presente.
    Che poi, ancora, sono anche i miei.
    Visto che parla dell'unico che riconosco come erede assolutamente contemporaneo della tradizione (tu sei un, ah, ah, cantautore...): Vasco (non quello Nazionale, che non ho mai sopportato, ma Vasco Brondi, meglio noto come Le luci della Centrale elettrica).

    Lavarsi i denti con le antenne della televisione
    ho abbassato le saracinesche dei negozi sui miei occhi
    con le nostre discussioni serie
    si arricchiscono solo le compagnie telefoniche

    Uno che sa raccontare benissimo il nostro tempo. 
    E probabilmente, per quel che ne posso capire io, la sua generazione.

    E' vero, non ritorna mai più niente, ma per fortuna comincia sempre qualcosa.

    Vasco Brondi in una foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

    mercoledì 6 luglio 2011

    Io e l'amico Mimmo

    L'editoriale di Giovanni De Mauro per l'ultimo numero di Internazionale, fa ottimamente il paio con l'intervista del Tg3 del 30 giugno 2011, edizione delle 19, ai due esponenti dei Responsabili (da oggi si chiameranno "Popolo e Territorio") Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, membri della attuale maggioranza di governo.
    D'accordo, l'intervista del giornalista del TG3 è da vero furbacchione, ma attenti ai quei due per i quali, ogni commento è superfluo.
    Forse.

    L’Europa è sull’orlo del precipizio, e noi con lei. La crisi greca rischia di trascinare con sé banche, industrie, monete, governi, un intero continente. Le possibili soluzioni non sono chiare e in tutte le capitali europee le discussioni sono aspre e spesso accompagnate da manifestazioni e scontri di piazza. In Italia, invece, gli argomenti del giorno sono altri. L’inchiesta sulla P4. Il dibattito sulle intercettazioni. L’emergenza rifiuti a Napoli. La nomina del nuovo direttore ad interim del Tg2. Lo sciopero della fame di Pannella. Il buco di bilancio del comune di Milano. Le tensioni all’interno della Lega. La nuova manovra economica. Il rinvio a giudizio di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti. Il progetto di trasferire alcuni ministeri al nord. Non che non siano temi importanti. Ma l’indifferenza dei nostri politici per l’Europa è strana. Probabilmente sono tranquilli perché sono in possesso di informazioni che noi non abbiamo. Sanno che all’Italia non potrà capitare quello che sta succedendo alla Grecia. O invece sono sereni perché non sanno, non sono informati, non hanno ancora capito quello che potrebbe succedere. Oppure parlano d’altro per non farci preoccupare. Vogliono distrarci dalla catastrofe che arriva. Come l’orchestra sul ponte del Titanic. (da Internazionale n. 904 del 1 / 7 luglio 2011).